Milano, allarme tir bombe: tachigrafi in tilt, rischio disastro

Nuova condanna per l’imprenditore che “ricattava” i suoi camionisti

L'inchiesta del nostro quotidiano sul fenomeno dei "tir bomba"

L'inchiesta del nostro quotidiano sul fenomeno dei "tir bomba"

Milano, 26 aprile 2018 - Non c'era solo il ricatto del posto di lavoro, con cui costringeva i camionisti a mandare in tilt i tachigrafi dei tir con piccoli magneti. C’era anche la piena consapevolezza che facendo questo - e imponendo ai suoi autisti turni massacranti al volante - metteva in pericolo l’incolumità loro e di chi li incrociava casualmente sulle strade.

Un’ altra condanna per G.P.V., 50enne titolare di un’impresa di autotrasporti dell’hinterland, tra Pozzuolo Martesana e Vignate. Dopo i due anni di reclusione incassati in primo grado per violenza privata ai danni dei suoi dipendenti, da lui costretti a infilare al posto giusto i magneti che truccavano i contachilometri digitali, ora un altro anno e otto mesi (sempre in primo grado) nel processo-bis con rito abbreviato - e sconto di pena di un terzo - per aver dolosamente omesso di collocare strumenti destinati a prevenire «disastri o infortuni sul lavoro».

In parole povere, per i giudici la messa fuori uso degli strumenti digitali consentì a Vercesi di imporre ai suoi dipendenti turni di guida ben oltre le ore consentite rendendoli, di fatto, un pericolo viaggiante. «Noi eravamo degli assassini – mise a verbale uno degli autisti davanti ai giudici – eravamo delle bombe vaganti perché non si può dormire due ore a notte (...) Neanche un ragazzo di vent’anni lo può fare, a meno che non prenda delle sostanze stupefacenti». Dentro ai camion, infatti, i turni massacranti arrivavano anche fino a 20 ore di guida al giorno. La Procura in realtà non ha contestato a Vercesi episodi di specifici disastri stradali ricollegabili a responsabilità dei suoi camionisti, ma il codice penale punisce anche il semplice «pericolo» creato dall’imprenditore con la manomissione degli strumenti di prevenzione del rischio. Questa accusa, contestata fin dall’inizio dell’inchiesta, era poi caduta perché un gip aveva ritenuto che dovesse essere assorbita da quella sulla violenza privata imposta ai dipendenti. Su ricorso della Procura, la Cassazione in un secondo momento aveva però ribaltato quell’interpretazione e aperto così la strada al processo-bis.

Inutilenel corso del rito abbreviato, il tentativo della difesa G.P.V. di addossare ai suoi stessi autisti la responsabilità di aver posizionato i magneti nel motore. A questo proposito, a incastrarlo sono state le parole - richiamate nella sentenza dal gup Natalia Imarisio - di un barista del locale vicino alla ditta dove i dipendenti pranzavano. C.B. ha spiegato di aver sentito spesso quegli autisti lamentarsi tra loro dell’imposizione delle «calamite per poter lavorare anche 24 ore su 24» da parte del «signor Vercesi», dietro minaccia di «perdere il posto». A denunciare il trucco delle calamite («caramelle» le chiamavano in ditta) furono proprio alcuni degli autisti, difesi dall’avvocato Attilio Giulio, dopo essersi dimessi e aver trovato un altro impiego.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro