Bar, cappuccino e caffè: affare sempre meno cinese

Dopo gli anni del boom che sembrava inarrestabile, il recente stop. In cinque anni sono il 10% in meno. "La pandemia ha dato il colpo di grazia"

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MILANO

Dall’"invasione" al riflusso. Consultando i dati locali dal Registro delle Imprese si scopre che i bar cinesi sono in costante diminuzione negli ultimi cinque anni sotto la Madonnina. A Milano città, secondo i numeri aggiornati al terzo trimestre di quest’anno, si registrano 4.636 imprese attive come bar. Di queste, 512 sono cinesi, pari all’11%. Praticamente uno su dieci. Ma la vera notizia dal report viene fuori esaminando cosa è successo negli ultimi cinque anni: gli esercizi con titolare orientale sono diminuiti di circa il 10% rispetto a cinque anni fa. Nel 2016 infatti i bar cinesi nel capoluogo lombardo erano 573. È bastato un lustro per far scomparire 61 attività: il fenomeno della inarrestabile crescita degli imprenditori del Dragone nel settore della tazzina sembra che si sia interrotto. A cavallo di Expo si parlò anche di "invasione". Il perimetro non era più concentrato nella Chinatown di via Paolo Sarpi e dintorni ma si era espanso – attraverso il business del caffè - in tutti i quartieri della città, soprattutto in periferia. Nel 2011 i bar cinesi erano, secondo il report del Registro Imprese, 451. Poi c’è stata una progressiva ascesa, soprattutto fra il 2014 e il 2016, arrivando a 573. In quel periodo non è mancato un caso che mediaticamente ha fatto scalpore: il passaggio di gestione (orientale) del bar del Cerutti Gino (quello della famosa ballata di Giorgio Gaber) di via Giambellino al civico 50. Era l’ottobre del 2014 quando i fratelli Giuseppe e Sergio Hu sono arrivati dietro al bancone trasformandolo in un bar-tabacchi. Ma dopo il 2016 qualcosa è cambiato: l’affare dei bar non sembra più così redditizio per la comunità asiatica. Gli esercizi con titolare cinese, al terzo trimestre del 2019, erano 554.

Un anno dopo, nello stesso periodo, erano diminuiti di 22 unità, diventando ancora meno: 532. Per Francesco Wu – consigliere di Confcommercio Milano per l’imprenditoria straniera – non tutte le attività hanno chiuso: "C’è stata anche la trasformazione di partite Iva in società, soprattutto srl, e il passaggio di proprietà da cinesi a italiani sinodiscendenti. È vero però che la pandemia ha dato il colpo di grazia alle attività che scricchiolavano. Tuttora i bar soffrono per il perdurante smartworking, è diventata un’attività molto sacrificante ma con bassi guadagni. Chi è italiano preferisce adesso rilevare bar e tabacchi capaci di generare più utili". Le difficoltà del bar "puro" valgono anche per le insegne tricolori. I bar in città complessivamente (4.636 come abbiamo detto all’inizio) sono in diminuzione del 3,6% rispetto a un anno fa (erano 4.812) e del 5,2% rispetto a giugno 2019 (4.891).

Annamaria Lazzari

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