Milano, il cimitero delle auto bruciate: regno del degrado a mezz’ora dal Duomo

Viaggio alle porte dell’ex “fortino rom”, angolo dimenticato della città: tra carcasse di macchine e immondizia di ogni tipo

Milano - La prima cosa che colpisce, naturalmente, è l’odore. Plastica bruciata. Anche se, a dire il vero, lasciando la via Varsavia per imboccare la strada verso la ferrovia, si viene accolti innanzitutto da un gruppo di bellissimi galli che razzolano sull’asfalto. E che abitano un piccolo fabbricato abbandonato a lato dei binari.

La colona di galletti che razzola in via Bonfadini a Milano
La colona di galletti che razzola in via Bonfadini a Milano

Così vicini così lontani

Galli a spasso in strada e puzza di gomma bruciata sono l’antipasto del pezzo forte. Ancora qualche decina di metri ed eccolo lì. Il cimitero delle auto bruciate. Un po’ Mad Max, un po’ Mutonia, un po’ una qualsiasi periferia dimenticata di un qualsiasi Paese del cosiddetto Terzo Mondo. E invece siamo a Milano, all’inizio di via Bonfadini. Google maps informa che piazza del Duomo è a 5,4 chilometri, a piedi ci vogliono tre quarti d’ora scarsi, mezz’ora coi mezzi (la fermata Corvetto della M3 è a due passi), in macchina 20 minuti.

Non solo auto carbonizzate

E invece questa no man’s land meneghina alle spalle dell’Ortomercato sembra essere su un altro mondo. Ammucchiate lungo il muretto che costeggia la strada ci sono decine, oltre 50 di sicuro, di scheletri di auto carbonizzate. Ognuna circondata dal suo carico di ruggine, plastica bruciata, detriti, spazzatura. Ma non ci sono solo veicoli dati alle fiamme chissà quanto tempo fa. Ce ne sono anche di più recenti. Ci sono anche una Bmw Serie 1 e una Golf non ancora incendiate ma solo cannibalizzate. Devono essere arrivate da poco perché, volendo, ci sarebbero ancora un sacco di pezzi da portare via.

Una delle nuove arrivate in via Bonfadini a Milano
Una delle nuove arrivate in via Bonfadini a Milano

Cacciatori di ricambi

Tra le lamiere delle macchine accatastate e i cumuli di rifiuti, laterizi, spazzatura, un water, c’è anche una figura umana. Sembra un’allucinazione ma non lo è. Un signore sulla sessantina con sacchetto di plastica in mano che si affanna a estrarre qualcosa dall’abitacolo di quello che resta (molto poco, a dire il vero) di una Panda.

Un tratto, quello iniziale di via Bondafini, dimenticato e lasciato marcire. Duecento metri di strada nascosta dai grandi edifici dell’Ortomercato che sembrano usciti dalle cronache del dopo bomba.

Quello che resta del campo nomadi di via Bonfadini a Milano
Quello che resta del campo nomadi di via Bonfadini a Milano

Il fortino rom

La strada poi prosegue e s’inabissa in un buio sottopasso con curva a gomito che infine sbuca direttamente in quello che una volta era il campo nomadi Bonfadini, ma che da queste parti era più conosciuto come il fortino rom. Il campo, sorto nei primi anni 80, è stato chiuso nel maggio del 2021, con blitz della polizia locale e tanto di ruspe tra le baracche. Anche se chiuso non lo è davvero.

La fabbrica dei rifiuti

Lo sgombero fu deciso sia perché la situazione igienica dell’area era ormai fuori controllo, sia perché la magistratura scoprì un maxi giro illegale di rottami e rifiuti gestito da una delle famiglie storiche della comunità. In pratica il campo era diventato una sorta di azienda di trasformazione dei rifiuti: molto remunerativa per i boss del villaggio, molto utile per le aziende che lì smaltivano alla buona i “residui di produzione”. Entravano rifiuti misti, usciva ferro pronto per essere venduto. Gli scarti di questa lavorazione finivano poi in strada e nelle aree intorno alla ferrovia. Durante il processo, chiuso l’anno scorso con la condanna a 6 anni e 8 mesi per il capo del campo, venne spiegato che ogni anno circa 800 tonnellate di scarti si accumulavano intorno all’insediamento.

Il campo nomadi di via Bonfadini a Milano oggi
Il campo nomadi di via Bonfadini a Milano oggi

Chiuso davvero?

Nel campo ci abitavano, secondo le stime, 40 famiglie. C’erano baracche di legno tirate su alla meno peggio ma anche case in muratura, alcune con graziose tinte pastello. Tutto accerchiato da montagne di rifiuti. L’insediamento è quindi chiuso ufficialmente da due anni. Ma basta attraversare il cimitero delle auto bruciate per capire che non lo è davvero. Inoltrandosi nella via, che ripiega su stessa e chiude l’ex villaggio in un triangolo, dalle finestre delle baracche rimaste in piedi spunta ancora qualche faccia. Non c’è il via vai di camion carichi di rottami immortalato dalle telecamere durante le indagini sullo smaltimento illegale dei rifiuti, ma comunque auto che fanno avanti indietro ancora ce ne sono.

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