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Cronaca

Addio a Napolitano, Bruno Ferrante: “io, il suo prefetto, così ricordo un grande presidente”

Alle 10 l’addio a Montecitorio, poi al cimitero Acattolico Il ricordo dell’allora giovane capo di gabinetto al Viminale "Si presentò a piedi, tese la mano e disse: sono il ministro"

L’ex prefetto Bruno Ferrante

L’ex prefetto Bruno Ferrante

Milano, 26 settembre 2023 –  “Ricordo il suo primo giorno da ministro, ricordo come entrò al Viminale, come si presentò a quelli che sarebbero stati i suoi collaboratori: arrivò a piedi, da solo, senza nessuno che lo scortasse. E con una semplicità disarmante ci guardò e ci disse: “Buongiorno, sono Giorgio Napolitano, il nuovo ministro“. Restammo tutti piacevolmente sorpresi da quel suo modo di porsi". A sciogliere i fili della memoria è Bruno Ferrante.

La prima volta

Correva l’anno 1996 e prima di allora Ferrante era stato commissario straordinario del Comune di Monza, era divenuto prefetto di prima classe, era stato scelto come vicecapo di gabinetto del ministero dell’Interno e, poi, come vicecapo della Polizia di Stato: una carriera da uomo ordine più che avviata. Una carriera che sarebbe proseguita nei primi anni duemila con la nomina a prefetto di Milano.

"Ma sono e sarò sempre grato al presidente Napolitano per avermi dato una straordinaria possibilità di crescita umana e professionale".

La scelta

Il riferimento è proprio a quel 1996, quando a Napolitano viene affidato proprio il ministero dell’Interno e decide di puntare su di lui, su "quel giovane prefetto" promuovendolo come capo gabinetto: "Mi scelse anche per la mia età – racconta Ferrante –: lui già allora riteneva di essere anziano e voleva circondarsi di persone più giovani. Io ero diventato prefetto di prima classe a 46 anni". Iniziò così una collaborazione professionale che ancora oggi, sotto alcuni aspetti, per Ferrante resta unica: "Il nostro è stato un rapporto bello e intenso. La grande capacità di Napolitano era quella di non farsi mai trascinare dall’emotività del momento: per lui era fondamentale studiare, prepararsi, conoscere. Non è un caso che fosse un uomo di straordinaria cultura e che fosse rispettato ovunque andassimo, in Italia, in Europa e, in generale, all’estero. Questo suo approccio al lavoro e alla politica mi consentiva di non avvertire mai la pressione dell’esterno nemmeno nei momenti più critici della nostra esperienza al Viminale", sottolinea Ferrante.

Le missioni all’estero

L’album delle fotografie si ferma allora agli anni dell’immigrazione dell’Albania: "Era un tema sul quale c’era grande attenzione, ma lui evitò sempre ogni risposta emotiva. Lo so perché l’ho accompagnato diverse volte nelle sue missioni a Tirana e poi anche in Tunisia e Marocco, quando si aprì anche il fronte nordafricano. Fu lui a siglare i primi accordi coi Paesi dei migranti, a intraprendere la politica che poi è stata seguita da altri e lo è ancora oggi".

Pubblico e privato

Nel suo modo di porsi in pubblico e in privato sempre lo stesso contegno: "Persona di grande garbo e grande signorilità – spiega Ferrante –, naturalmente vocata al dialogo. Ma sulle regole e sul rispetto delle regole era intransingente". E questa sua rigidità emergeva anche nel chiuso delle stanze del dicastero, in particolare quando si trattava di redigere i discorsi che avrebbe poi letto alle Camere o le note per la stampa: "Dettava i comunicati a braccio, non se li scriveva prima. Ma era un’esperienza ascoltarlo mentre li dettava: come ascoltare un audiolibro, oggi. Una voce che filava dritta, liscio, non si inceppava mai, scandiva con precisione anche la punteggiatura. E, anzi, quasi si arrabbiava quando la segreteria gli rileggeva ciò che le era stato dettato e lui si rendeva conto che si era persa qualche virgola". Inevitabile guardarsi indietro, ora che Napolitano è venuto a mancare. Ed è inevitabile anche guardare all’oggi: "Lui faceva parte di una generazione di grandi politici, quelli che si preparano, che hanno amore per la competenza e per lo studio. La sua passione era la politica internazionale, parlava diverse lingue e in tanti gli chiedevano consiglio ogni volta che in Europa si ponevano questioni di equilibrio tra i Governi".