A Milano l’8% dei licenziamenti Nonostante il blocco 28mila a casa

Paga il prezzo più alto il settore servizi alle imprese. "Sistemi che hanno permesso di bypassare il divieto"

di Andrea Gianni

Sono uomini e donne in egual misura, hanno un’età compresa fra 35 e 54 anni. Alle spalle un lungo rapporto di lavoro a tempo indeterminato nel settore privato, principalmente con profili di competenza medio bassi. È l’identikit dei milanesi licenziati nell’anno della pandemia, in deroga al divieto imposto a livello nazionale o con sistemi che hanno permesso di bypassare il blocco. I licenziamenti intimati nel periodo primo aprile-31 dicembre 2020 sono stati 28.243 solo nella Città metropolitana, secondo quanto emerge dall’ultimo report del Dipartimento mercato del lavoro della Cgil milanese diretto da Antonio Verona. Si tratta dell’8% dei licenziamenti registrati nello stesso periodo a livello nazionale, circa 388mila. Guardando i settori, emerge uno spaccato della crisi ma anche dati sorprendenti: 9.389 licenziamenti nei servizi alle imprese, al centro di tagli a causa della pandemia, e 3.378 nel settore trasportilogistica, che invece ha continuato a crescere.

Sono 2.747 i licenziamenti nel commercio, 2.338 nelle costruzioni, 1.925 nella manifattura, 1627 in alberghi e ristoranti, 803 fra sanità e istruzione, 440 nell’Ict (tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Un fenomeno trasversale che, secondo i dati Anpal riportati dalla Cgil, non risparmia anche settori che non si sono mai fermati. "È difficile immaginare che 28.243 licenziamenti nelle aziende private della città metropolitana di Milano siano tutti ascrivibili a motivi disciplinari e nemmeno riconducibili alle deroghe di legge – annota il Dipartimento mercato del lavoro – una cifra che merita un chiarimento, soprattutto a fronte della prossima scadenza della moratoria attualmente vigente". Dal 17 marzo dell’anno scorso i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo sono vietati: in seguito sono state introdotte deroghe al divieto con riferimento ai passaggi di appalto, alle cessazioni di attività di impresa, compresi i fallimenti e agli accordi collettivi, previo consenso da parte dei lavoratori. "Il problema è che i licenziamenti non vengono sanzionati se il lavoratore non presenta ricorso – sottolinea Verona – e questo allenta i controlli su aziende dove il sindacato non è presente". I licenziamenti rientrano nel bilancio delle 559.768 cessazioni da un rapporto di lavoro in aziende della città metropolitana di Milano totalizzate nel 2020. E qui la parte più consistente è costituita da contratti a termine scaduti e non rinnovati (386.725) e dimissioni (126.918). Sono solo 2.855 le cessazioni dovute a chiusure di aziende, visto che per ora molte imprese in situazioni critiche sono tenute in vita da sostegni e ammortizzatori sociali.

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