Spretato e impiccato: chi era don Enrico Tazzoli il prete-patriota che la Chiesa non ha mai riabilitato

Per giustiziarlo gli austriaci chiesero a Pio IX e ottennero che venisse ridotto allo stato laicale. Dopo la morte la damnatio memoriae per un sacerdote liberale che ispirò anche il fondatore della Croce Rossa. Ora parte la battaglia per la reintegrazione

Nel dipinto, al centro, don Enrico Tazzoli

Nel dipinto, al centro, don Enrico Tazzoli

Mantova, 13 gennaio 2024 – È stata una figura di spicco del cattolicesimo sociale lombardo, patriota risorgimentale, martire di Belfiore: eppure pochi conoscono Enrico Tazzoli. E ancor meno sanno che era un prete e che prima di impiccarlo, gli austriaci chiesero (e ottenero) che la Chiesa lo riducesse allo stato laicale. Forse è proprio a questo insieme di circostanze che il sacerdote mantovano, nativo di Canneto sull’Oglio, deve la sua damnatio memoriae. È un velo di oblio difficile da sollevare. Ci sta provando con tutta la prudenza del caso il sociologo Costantino Cipolla, docente all’università di Bologna, ma con solide radici mantovane (è originario di Guidizzolo) e un profondo legame con la figura di Tazzoli.

È bastato un piccolo convegno organizzato proprio a Guidizzolo nel 171° anniversario dell’esecuzione del prete-patriota e un articolo sulla Gazzetta di Mantova a smuovere le acque fino dentro alla Curia mantovana.

Il professor Cipolla è autore di due saggi da un migliaio di pagine l’uno, su don Tazzoli. "L’occasione per riparlare del caso è arrivata da Rai Storia – spiega – quando Paolo Mieli ed Ernesto Galli della Loggia rievocarono il sacerdote e la sua fine. Più recentemente è nata l’idea del convegno".

La storia del sacerdote-patriota

E ci sono già state reazioni? Nessuna ufficiale, ma il docente, che per motivi di studio è di casa negli ambienti cattolici mantovani, ha già raccolto qualche commento, quanto meno perplesso. Ma prima di arrivarci Cipolla tratteggia l’intera vicenda di don Tazzoli e i suoi sviluppi. Il prete viene arrestato assieme ad altri “cospiratori“ e condannato al patibolo.

Ma il cattolicissimo impero austro-ungarico non può mettere a morte un uomo in abito talare e chiede alla Chiesa di “spretarlo“. Papa Pio IX tace (e quindi acconsente), per salvarlo comunque il vescovo dell’epoca Giovanni Corti si rivolge a Radetzky ("Le scrivo con l’inchiostro delle mie lacrime") ma si piega al suo volere. Il 24 novembre 1852 Tazzoli viene ridotto allo stato laicale, spogliato dei paramenti sacri, la pelle delle dita che avevano sorretto l’ostia dell’eucaristia raschiata con un coltello.

Pochi giorni dopo, il 7 dicembre del 1852, Tazzoli viene impiccato ("Morì stringendo la croce" racconta Cipolla) con i primi Martiri di Belfiore (Angelo Scarsellini, Carlo Poma, Bernardo Canal, Giovanni Zambelli) e le sue spoglie vennero disperse nei campi.

Un martire dimenticato

Nel 1866 gli austriaci lasciano Mantova, Tazzoli e gli altri martiri ricevono una degna sepoltura ma lui non avrà la riabilitazione. Il 1870 è l’anno di Porta Pia e dello scontro tra Chiesa e Stato. Non c’è posto per il liberale Tazzoli, che pure ha ispirato le idee fondanti della Croce Rossa (Henry Dunant la realizza nel 1864) e che sin dal 1850 invocava la parità tra uomo e donna. Il sacerdote entra in un cono d’ombra. Nemmeno i fascisti, che pure a parole esaltano il Risorgimento, si sognano di riscoprirlo. Solo in anni recenti il vescovo di Mantova don Roberto Busti pronuncia parole inequivocabili per onorare la figura di don Tazzoli. Il processo di reintegrazione però non è ancora partito.

“Due sono le principali perplessità – spiega il professor Cipolla –. La prima è che il profilo di don Tazzoli non rientra tra quelli compatibili con la strada verso la santificazione, di cui la reintegrazione sarebbe solo il primo passo. L’altra è che avesse partecipato ad azioni terroristiche. Ma questo non è vero: era compagno di Tito Speri, Poma e altri patrioti in anni di stato d’assedio, ma quando si parlò di attentare all’imperatore si oppose drasticamente".

Dunque, obiezioni superate? Il docente è ottimista sul possibile intervento dell’attuale vescovo, monsignor Marco Busca ("Un bresciano sensibile all’ispirazione del cattolicesimo lombardo") ma servirebbe anche che un movimento “dal basso“, un appello dei fedeli mantovani, e non solo, gli desse la spinta.