Fabio Merlino, nel nome del padre: “Nessun riconoscimento ai morti di Nassiriya, inconcepibile”

Il maresciallo Filippo Merlino morì nell’attentato, il figlio commosse l’Italia seguendo il feretro in divisa. Oggi si sfoga: "Avvilito per il mancato indennizzo. Mai concessa la Medaglia d’oro: Mattarella la assegni di sua volontà"

Fabio Merlino; nel riquadro il padre Filippo, morto nell'attentato di Nassiriya

Fabio Merlino; nel riquadro il padre Filippo, morto nell'attentato di Nassiriya

Viadana (Mantova), 12 novembre 2023 – “Per il risarcimento ci hanno risposto che in pratica eravamo già stati risarciti. Per la mancata concessione della medaglia d’Oro alle vittime della strage di Nassiriya, è una cosa che continua ad addolorarci, ad avvilirci". Vent’anni fa l’Italia si commosse di fronte alle immagini di quel ragazzino che seguiva in divisa da carabiniere i funerali del padre, il luogotenente Filippo Merlino, comandante della stazione di Viadana, una delle diciannove vittime italiane (dodici militari dell’Arma, cinque dell’Esercito, due civili) dell’attentato di Nassiriya.

Era il 12 novembre del 2003 quando un camion bomba guidato da un uomo di al-Qaeda provocò ventotto morti nella base “Maestrale". Fabio aveva tredici anni e un destino di combattente segnato dalla nascita da un’atrofia muscolare spinale che lo costringeva da sempre su una carrozzina.

Odissea nella burocrazia

Difficile coniugare dolore e burocrazia. "Il risarcimento - dice Fabio -, riconosciuto dalla Cassazione, ci è stato negato perché saremmo stati risarciti dall’assicurazione. Ma un conto è l’assicurazione che copre ogni militare, ogni pubblico dipendente, un conto è il risarcimento che spetta per legge alle vittime del terrorismo".

Sul punto interviene e precisa l’avvocato Francesca Conte, legale di numerose famiglie delle vittime: "Abbiamo vinto due volte davanti alla Suprema Corte di Cassazione, un volta in sede penale per i soli interessi civili e l’altra in sede civile, che ha condannato al risarcimento il generale Bruno Stano (comandante della missione “Antica Babilonia“ in Iraq, assolto in sede penale - ndr ).

Siamo andati davanti al Tribunale civile di Roma per la quantificazione del danno, ma il risarcimento ci è stato negato sul presupposto che esisteva una polizza assicurativa firmata a suo tempo dai familiari in cui sembravano rinunciare a qualsiasi ulteriore richiesta risarcitoria.

Abbiamo chiesto di leggere la polizza ma né l’Avvocatura dello Stato ce l’ha data in visione, né il Tribunale l’ha acquisita d’ufficio. Non solo, quando abbiamo chiesto la liquidazione delle spese processuali, lo stesso Tribunale ha addirittura revocato il beneficio del gratuito patrocinio per le vittime del terrorismo. Tutto ciò è inaccettabile. Per questo oggi abbiamo in corso una serie di contenziosi aperti con lo Stato".

Il mancato tributo

La Medaglia d’oro, ferita sempre aperta. "È inconcepibile - dice Fabio Merlino - che non venga data a questi eroi che hanno sacrificato la vita per il Paese. È inconcepibile che non ce ne dicano le ragioni. Il presidente della Repubblica potrebbe concederla ‘motu proprio’. Mi rivolgo a lui: “Presidente Mattarella, gli eroi di Nassiriya meritano la Medaglia d’oro“.

Per questo ventennale ci aspettavamo maggiore solennità. Solo dopo le nostre insistenze è stata realizzata una pergamena ed è stato piantato un albero nella caserma ‘Salvo d’Acquisto’ di Tor di Quinto, a Roma. Nel calendario dei carabinieri che esce ogni anno la strage di Nassiriya non è mai comparsa. Eppure nel Dopoguerra è stato l’evento in cui l’Arma ha pagato il tributo più alto".

Le battaglie di Fabio

Fabio Merlino e le sue rinascite. Dopo la scomparsa del padre, accanto alla mamma Alessandra, forte e determinata. Dopo una operazione alla colonna vertebrale. Dopo il Covid. Lo sport. "Con papà andavamo sempre allo stadio. Nell’ultima telefonata, la sera prima dell’attentato, ci eravamo accordati per andare a vedere Modena-Juventus. Lui sarebbe rientrato due giorni dopo. A Bologna mi avevano parlato del wheelchair hockey, l’hockey in carrozzina. Ho costituito i Warriors Viadana il 20 settembre 2014, il giorno del mio intervento alla schiena nove anni prima, un giorno che è stato come una seconda nascita. Fino a dicembre dello scorso anno ero in campo da capitano. Adesso alleno. Siamo una società strutturata, militiamo in A1 con quindici atleti. Tre anni fa è nata la squadra di calcio in carrozzina".

"Mio padre è sempre al mio fianco. In certe circostanze mi chiedo come avrebbe pensato, come avrebbe agito. Cerco di ispirarmi a lui, soprattutto a un suo grande insegnamento: mai arrendersi".