FEDERICO MAGNI
Cronaca

Avventure fuori dall'ordinario, Matteo della Bordella apre il libro della sua vita

“La via meno battuta. Tutto quello che mi ha insegnato la montagna” (Rizzoli), è la sua storia

La gioia di Matteo della Bordella nel 2013 sulla cima della Torre Egger

Lecco, 9 novembre 2019 - «Se è vero che siamo portati a seguire i sogni che abbiamo da bambini o comunque da giovani, io capii subito che era questa la strada che mi avrebbe fatto sognare: uscire dalle correnti più battute dell’alpinismo e cercare avventure nuove e più grandi, fuori dall’ordinario». Matteo Della Bordella, varesino, classe 1984, è ormai una stella dell’alpinismo italiano e internazionale. Alla guida del celebre gruppo alpinistico dei “Ragni”, è uno di coloro che con le sue salite visionarie dimostra come ancora oggi ci sia spazio per l’esplorazione e la vera avventura sulle montagne di tutto il mondo.

A 35 anni si è “fermato” un momento per guardarsi dentro, alla vigilia di una nuova grande avventura, quella di diventare papà, e ha deciso di raccontarsi in un libro che va oltre il racconto di montagna. Il suo è un esempio di come la forte motivazione e una passione infinita permettano di raggiungere obiettivi che sembrano irraggiungibili, anche quando il corso della vita prende tutta un’altra direzione. “La via meno battuta. Tutto quello che mi ha insegnato la montagna” (Rizzoli), è la sua storia.

C’è un momento in particolare in cui sembra che la tua carriera alpinistica abbia preso una direzione ben precisa ed è successo in Patagonia, durante i tentativi sull’inviolata parete Ovest della Torre Egger, coronati dal successo dopo tre anni. In mezzo c’è la storia di una grande amicizia e un volo incredibile dopo il quale tu e Matteo Bernasconi rimaneste appesi alla parete solo grazie a un micro friend.

«Quella spedizione, fra tutte, è stata la più importante dal punto di vista emotivo e personale. È stata la prima in cui ho imparato e scoperto tante cose nuove. Quando vivi un’esperienza del genere è tutto una scoperta. Ci siamo trovati in due, e poi in tre, davanti a questa parete. Fu un’avventura incredibile e l’episodio del volo è stato emblematico». Eppure nella tua vita non sembra essere sempre andato tutto secondo le previsioni. «No, assolutamente. Non mi sarei mai aspettato un giorno di potermi dedicare completamente alla montagna. Ed è stato un percorso ricco di colpi di scena e fatto di scelte. Ecco perché mi piaceva raccontarle per capire cosa ci fosse dietro».

Ci sono state tante ripartenze nella tua vita e sembra che questo poi ti abbia rafforzato. Quando dopo la prima via in Wenden e una brutta caduta pensavi di abbandonare l’arrampicata, quando hai perso tuo padre proprio in montagna, quando avevi una carriera da ingegnere e da ricercatore universitario ormai spianata e l’alpinismo si stava allontanando…

«Sicuramente è nei momenti di difficoltà in cui capisci veramente cosa vuoi. Quando le cose vanno bene sei anche un po’ trasportato. Quando invece succede qualcosa che ti mette a dura prova devi dimostrare chi sei e la sfida è ancora più grande. Il fatto di ripartire fa parte di quei momenti in montagna in cui devi guardarti dentro per riuscire a metterti in gioco».

Stupisce sempre il livello di difficoltà degli obiettivi che hai scelto, fin da subito. Quando ti sei affacciato alle spedizioni extraeuropee volevi mettere le mani sulle torri di Trango, anche se fino a quel momento avevi scalato solo sulle Alpi.

«Nell’arrampicata e nelle salite più alpine è stato un percorso a livelli. Per quanto riguarda le spedizioni, l’esperienza è stata costruita fondamentalmente provando e riprovando, contando sulle mie forze e quelle dei miei compagni. C’è stata sicuramente una parte di follia per mettersi in gioco su quelle pareti quando non sapevamo ancora bene di cosa si trattasse. Ma una parte di incoscienza c’è ancora oggi quando ti poni un obiettivo nuovo. C’è sempre qualcosa di irrazionale che non si sa dove ti porterà, òPerò penso che non abbiamo mai fatto passi più lunghi della gamba. Poi la fortuna ha la sua parte ».