Barzago, il racconto del piccolo Alvin: "Mamma mi è morta accanto"

Il bimbo rapito e portato in Siria ascoltato dagli investigatori del Ros e al pm Alberto Nobil

L'arrivo di Alvin in paese

L'arrivo di Alvin in paese

Barzago (Lecco), 14 novembre 2019 - Era asserragliato anche lui a Baghuz, a pochi chilometri di distanza dal confine con l'Iraq, ultima roccaforte sull’Eufrate degli jihadisti del Califfato, quando i soldati kurdi filo-americani e di Damasco, appoggiati dai militari statunitensi, hanno lanciato la definitiva controffensiva contro i miliziani di Daesh. E’ lì, probabilmente tra febbraio e marzo sebbene non si ricordi di preciso il periodo ma solo che “faceva molto caldo”, che Alvin, che adesso ha 11 anni e finalmente è di nuovo casa, ha visto la madre 39enne, che nel dicembre 2014 lo ha rapito da Barzago, morire dilaniata dalle bombe con il compagno che aveva scelto come suo nuovo padre e ai suoi due nuovi fratellini più piccoli.

“Io ero vicino a lei, ma mamma è morta nel bombardamento”, ha confermato e raccontato quest'oggi il ragazzino agli investigatori del Ros e al pm Alberto Nobili del pool antiterrorismo che lo hanno ascoltato durante un'audizione protetta. Lui è miracolosamente sopravvissuto, ma in quel remoto angolo di Medio Oriente ha quasi perso una gamba. I volontari della Mezzaluna rossa sono riusciti a ridurre la frattura che ha rimediato nell’esplosione che ha sterminato quella che era la sua famiglia di laggiù, gli hanno steccato l’arto con bendaggi di fortuna e hanno evitato che la ferita si infettasse, per poi trasferirlo nel campo profughi di Al Hole, da dove è stato tratto in salvo solo settimana scorsa. Nei prossimi giorni per quella ferita verrà ricoverato e operato.

Durante il periodo di convalescenza alcuni cooperanti internazionali lo hanno ripreso nelle scene di un documentario per testimoniare la situazione nell’immensa prigione a cielo aperto per i reduci dello Stato islamico: le immagini, acquisite agli atti dell'inchiesta, lo mostrano con la gamba immobilizzata, il calcagno gonfio, il corpo ricoperto di lividi e scavato dalla denutrizione, con una flebo al braccio. “Sto nel campo e aspetto che passi il tempo, aspetto e aspetto”, ha confidato davanti alle telecamere. “Me lo sono fatto a Baghuz”, ha risposto invece a chi gli ha domandato di quel tallone grosso come un melone. Nonostante la madre lo abbia “portato via mentre le due sorelle più grandi erano a scuola” lei gli manca. Durante l'audizione, in cui è stato assistito da una psicologa dell'infanzia, si è commosso ricordando quei tragici momenti, l'emozione, il ricordo, il dolore e lo shock hanno preso il sopravvento e gli investigatori e il magistrato hanno preferito non insistere oltre perché non avrebbe retto. Lo sentiranno più avanti, tra un mese, una volta dimesso e dopo che si sarà tranquillizzato.

Sebbene l’addestramento alla guerra, la scuola coranica, Baghuz, le bombe, Al Hole, l’interminabile attesa che qualcuno andasse a prenderlo siano il passato e lui sia di nuovo a casa, in quell'inferno potrebbero esserci ancora altri bambini come lui: ad Al Hole sono infatti rimasti S'Ad, Ossama e Ismail, di 7, 9 e 11 anni, più un quarto fratellino di pochi mesi, tutti figli della 42enne Alice Brignoli, che nel febbraio 2015, proprio come sua mamma, è partita da Bulciago, che confina con Barzago, per unirsi anche lei ai tagliagole neri di Daesh. Per questo è importante che ricordi e che riferisca, la sua testimonianza potrebbe aiutare a riportarli tutti a casa anche loro.