Myanmar, altri 90 morti. La condanna del mondo

Il bilancio è salito a 423 vittime. Le Nazioni Unite: "Fermate questo inutile massacro"

Scontri in Myanmar

Scontri in Myanmar

Myanmar - Con i 90 morti tra cui anche molti bambini della giornata di sabato è salito ad almeno 423 vittime il bilancio della repressione delle manifestazioni che da due mesi sfidano l'esercito golpista che il 1° febbraio scorso ha deposto il governo e arrestato la leader Aung San Suu Kyi e decine di politici. Continuano i massacri nell'ex Birmania che nella giornata di sabato hanno raggiunto il loro punto più alto. Il bilancio parla di almeno 90 morti, tra cui anche sette bambini. Un massacro in qualche modo annunciato perché nel giorno della grande parata militare voluta dall'esercito golpista il capo della giunta militare, il generale Min Aung Hlaing, aveva assicurato di voler reprimere qualsiasi manifestazione di protesta dei manifestanti definjiti senza mezzi termini "terroristi". E così è stato.

Dimostranti in strada
Dimostranti in strada

La repressione 

Soldati e mezzi militari hanno sfilato nella capitale Naypyidaw nella giornata delle forze armate. Un'esibizione di forza a cui hanno assistito le delegazioni diplomatiche di otto nazioni, tra cui Cina e Russia. Immagini trasmesse dalla televisione mostrano il viceministro della Difesa russo, Alexander Fomin, tra il pubblico. Questo fa capire che il fronte di condanna internazionale non è tutto unito, a cominciare proprio dalla Russia che ha stretto accordi commerciali con il Myanmar per forniture militari. Altri soldati nel resto del Paese intanto sparavano proiettili veri e ad altezza uomo sulla folla scesa in piazza per sfidare il regime, protestare contro il golpe e chiedere il ripristino della democrazia. Le proteste più sostenute si sono segnalate nelle città di Bago, a Nord Est di Yangon, e a Moe Kaung, nello Stato del Kachin. Un nuovo fronte si sarebbe poi aperto nel Nord Est, dove l'esercito birmano avrebbe bombardato le posizioni delle milizie della minoranza Karen, causando tre morti e otto feriti.

 

Protesta a Londra contro i massacri in Myanmar
Protesta a Londra contro i massacri in Myanmar

La condanna

I capi delle forze armate di 12 nazioni - tra cui l'Italia - hanno condannato la violenta repressione della giunta militare contro i manifestanti che chiedono il ripristino del governo civile del Myanmar, deposto lo scorso 1° febbraio.  "Come capi della Difesa, condanniamo l'uso di forza letale contro persone disarmate da parte delle forze armate birmane e dei servizi di sicurezza associati", si legge nel raro comunicato congiunto, firmato dai capi di stato maggiore di Usa, Canada, Regno Unito, Germania, Italia, Grecia, Danimarca, Paesi Bassi, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. "Un esercito professionale segue le regole di condotta internazionale e la sua responsabilità è proteggere - non colpire - il popolo che serve", prosegue la nota, "esortiamo le forze armate del Myanmar di lavorare per ripristinare il rispetto e la credibilita' persa con le loro azioni di fronte al popolo birmano". Le Nazioni Unite si dicono "inorridite" da quanto sta accadendo, l'Unione Europea chiede la restaurazione della democrazia e intanto si susseguono le proteste dei birmani di tutto il mondo.

I funerali del giovanissimo ucciso a Mandalay
I funerali del giovanissimo ucciso a Mandalay

Giovani vittime

Tra le vittime si registrano anche molti bambini. Tra loro anche una bambina di sette anni uccisa dalle forze di sicurezza a Mandalay. Lo denuncia la famiglia della piccola, secondo quanto riportato dalla Bbc. Il quotidiano locale  Myanmar Now scrive che i militari hanno fatto irruzione nella loro casa, nel quartiere periferico di Chan Mya Thazi, e hanno sparato contro suo padre, ma hanno invece colpito la bambina che si trovava in braccio all'uomo. La piccola, che si chiamava Khin Myo Chit, è la più giovane vittima della repressione dei militari. Il fratello di 19 anni è stato arrestato.

Protesta con il simbolo delle tre dita
Protesta con il simbolo delle tre dita

"Three fingers"

Il simbolo della "tre dita" è diventato il simbolo della protesta contro il regime. Il Movimento di disobbedienza civile contro la giunta militare ha deciso per lo "sciopero del silenzio" che richiama molto la dottrina della "non violenza" di Gandhi. "Vogliamo mostrare che siamo noi che governiamo le città. Non la giunta militare", ha scritto su Twitter l'organizzazione informale di protesta formatasi dopo il golpe del 1° febbraio. Anche City Mart, una delle più grandi catene di supermercati del Paese, ha derito alla protesta chiudendo i negozi per una giornata.