Centinaia di attiviste e giornaliste afghane hanno bisogno di aiuto

Dopo i primi arrivi post presa di potere dei Talebani, moltissimi non sanno come inviare domanda di accoglienza: regna la confusione

Un flash mob pro donne afghane

Un flash mob pro donne afghane

Centinaia di attiviste e giornaliste afghane sono ancora nel Paese. L’Italia non permetta che vengano uccise per burocrazia. L’Italia è il Paese che ha accolto più afghani durante l’emergenza di Ferragosto. Il dato di fatto c’è, il titolo anche, gli onori, meritati, pure, poi, però, manca tutto il resto. A quasi due mesi dai tragici fatti di agosto, quando i talebani hanno riconquistato il Paese, migliaia di afghani (e soprattutto afghane) che lavorano nel mondo dell’informazione o delle attività noprofit, ha chiesto assistenza e rifugio all’Italia attraverso contatti informali a cittadini italiani, parenti afghani in Italia o organizzazioni non governative.

Il Ministro Di Maio aveva promesso rifugio a “chiunque avesse collaborato con l’Italia o con media occidentali”, considerati a rischio di ritorsione e in pericolo di vita. La viceministra Sereni, ha recentemente parlato di “valutazione su come portare in Italia alcune persone”, “bisogna capire come operare”, ha detto. Bisogna capirlo sì: ad oggi non sembra esistere un procedimento digitale, universale e trasparente che possa permettere a queste persone di presentare domanda dall’Afghanistan.

Come nelle migliori tradizioni italiane, i diversi attori coinvolti nel processo (giornalisti italiani, giornalisti afghani, ONG e politici) si stanno muovendo in queste settimane in modo confusionario e informale. Si raccolgono i dati degli attivisti e delle attiviste, ma al tempo stesso non si sa come inviarli ai ministeri, perché, al momento, non esiste (o non è stata comunicata) una procedura adeguata. Durante l’emergenza di agosto giravano dei file excel via Whatsapp, nessun sistema di compilazione online, nessun tipo di controllo.

Oggi, la mia mail è ancora intasata dalle richieste di centinaia di cittadine e cittadini afghani che mi hanno contattata dopo aver aiutato alcune giornaliste afghane a trovare rifugio in Italia. Queste persone sono in pericolo di vita, sono giornalisti che hanno lavorato con media occidentali e solo per questo rischiano la loro vita ogni giorno. A loro, ad ogni email, rispondo che sì, stiamo aspettando indicazioni dai Ministeri preposti, e che fino ad allora non posso far altro che catalogare le loro richieste invitandoli a fare domanda anche ad altri Paesi, come il Canada, la Francia, la Spagna o gli Stati Uniti, che da tempo hanno istituito processi online di richiesta di asilo.

L’emergenza Afghanistan non può aspettare: la nostra Costituzione (così tanto citata in questi giorni), prevede che sia offerto asilo a chi, per ragioni politiche, non può più soggiornare nel proprio Paese. Abbiamo di fronte a noi un’opportunità straordinaria, di democrazia, accoglienza, di sostegno al diritti umani, e di rispetto della Costituzione. Sprecarla per mancanza di digitalizzazione, di organizzazione o burocrazia, vuol dire diventare complici indiretti dei pericoli che vivono ogni giorno queste coraggiosissime persone.

Non fermiamoci qui.