Gli aiuti dell’Ue vincolati alle riforme

Il crollo del Pil e l’aumento della disoccupazione sono le spie di uno scenario davvero molto allarmante

Milano, 31 maggio 2020 - Martedì il presidente della Repubblica celebrerà la Festa del 2 giugno a Codogno, primo focolaio del virus. Un gesto dal valore altamente simbolico perché la cittadina lombarda è passata alla storia come l’epicentro della prima «zona rossa». Un’area colpita a febbraio da restrizioni mai viste prima ma tra le prime ad essere poi diventata a contagio zero. Da qui Mattarella vuole lanciare un chiaro messaggio di ripartenza. Se Codogno è uscita dall’incubo Covid19 vuol dire che tutta l’Italia potrà farcela. Sia la riapertura dei confini regionali che delle frontiere con gli altri Stati europei rafforza la speranza che il peggio sia alle spalle e che il Paese possa risollevarsi in fretta non solo dall’emergenza sanitaria.

Le preoccupazioni per il contagio da coronavirus ora come ora sono meno percepite rispetto alla gravissima crisi socioeconomica che investe interi settori produttivi e allarma imprenditori, artigiani, commercianti, lavoratori autonomi e milioni di famiglie. Il crollo del Pil e l’aumento della disoccupazione sono le spie di uno scenario davvero molto allarmante, che solo un massiccio arrivo di aiuti dall’Europa potrà fronteggiare. Non basterà far arrivare prima possibile la liquidità; occorrerà spendere in modo produttivo i soldi che giungeranno da Bruxelles anziché destinarli a sussidi a pioggia, capaci di soddisfare esigenze immediate ma non di rilanciare investimenti e consumi in modo duraturo. La crisi è adesso. Le risorse annunciate, però, arriveranno a rate e non subito. E per altro sulla base di un giudizio europeo sulle scelte che il governo farà in materia economica.

Sarebbe utile spiegare agli italiani che non arriva la manna dal cielo, ma che gli alleati europei intendono mettere alla prova la nostra capacità di fare riforme strutturali in grado di incidere sul funzionamento delle imprese e sulla capacità del sistema di generare ricchezza. Questa la vera ripartenza auspicata. Gioverebbe un’armonia di intenti fra gli alleati di governo, che invece continuano a litigare aspramente sia sul Mes - che non è affatto accantonato - sia sulle scelte di politica fiscale, vedi ipotesi patrimoniale che anche ieri è stata ventilata da alcuni esponenti della maggioranza. Non va neppure trascurato il rischio di tensioni sociali evidenziato dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese a proposito di possibili manifestazioni di piazza collegate e rivendicazioni di gruppi o categorie. Permane la preoccupante sensazione che chi sta al governo sottovaluti i segnali di crescente insofferenza dell’opinione pubblica nei confronti delle istituzioni e, peggio, quelli di categorie produttive già strozzate dagli effetti del lunghissimo lockdown. Adesso gli annunci non bastano più.