Parità tra euro e dollaro: cosa significa per l'economia

Da gennaio la moneta unica ha perso il 13% sul biglietto verde. L'export ci guadagna mentre soffrono i settori che devono importare materie prime dagli Usa

Oltre all’inflazione, negli ultimi mesi anche un'altra parola che sembrava ormai consegnata al passato è tornata di moda: la svalutazione. Tutti, o quasi, si ricordano della crisi valutaria del ’92, quando l’Italia, insieme al Regno Unito, fu costretta a uscire dal sistema monetario europeo e la lira perse circa il 30% del suo valore. Allora c’era il governo Amato, che varò il famoso prelievo forzoso sui conti correnti. Si dirà: era un’altra epoca. Certo, ma sta di fatto che l’euro, negli ultimi giorni, ha fatto un salto all’indietro di vent’anni e ormai oscilla sul filo della parità con il dollaro, mentre da gennaio si è deprezzato del 13%.

Ieri la moneta unica ha chiuso a 1,005 sul biglietto verde e, con i venti di recessione che spirano sul Vecchio Continente, non è escluso che la sua corsa al ribasso possa continuare. Tuttavia, non è la prima volta che ciò accade. Tra aprile del 2014 e marzo del 2015, spinto dalla politica accomodante della Bce (taglio dei tassi e iniezioni di liquidità attraverso il quantitative easing), l’euro si era svalutato del 24% nei confronti del dollaro. Ma quali sono gli effetti per l’economia?

Esportazioni incoraggiate dall'euro debole

La prima cosa da considerare è che un euro debole incoraggia le esportazioni. I prodotti italiani, infatti, costano meno e, di conseguenza, aumentano le vendite di beni all’estero. Nello specifico, i settori che esportano molto negli Stati Uniti sono alimentare, farmaceutico, auto e moda. Tutti comparti che potrebbero essere avvantaggiati nella lotta per accaparrarsi ulteriori quote nel mercato locale. Va sottolineato, inoltre, che, anche con un euro forte, la bilancia dell’interscambio tra Italia e Usa pende dalla nostra parte.

Sono anni infatti che il nostro Paese registra un sostanzioso surplus commerciale nei confronti degli Stati Uniti. Nel 2019 il saldo tra esportazioni e importazioni è stato di 33,58 miliardi di euro, nel 2020 di 29,5 miliardi e l’anno scorso di 39,3 miliardi. Insomma, le imprese italiane sono già abbastanza competitive anche senza la spinta fornita dalla svalutazione. Spinta che, però, potrebbe aiutarle sui mercati internazionali, soprattutto per quei settori che devono fare i conti con la concorrenza americana. Si tratta ad esempio della farmaceutica e della meccanica di precisione. Strappare quote di mercato ai competitor Usa, quindi, diventa più semplice.

Gli effetti su turismo e importazioni

Ma il deprezzamento dell’euro dà anche impulso al turismo. Le vacanze nel nostro Paese, infatti, diventano più convenienti e, quindi, più attraenti per i turisti stranieri. Senza considerare l’altra faccia della medaglia: per gli italiani andare all’estero diventa, di converso, più costoso. Perciò in molti potrebbero preferire passare le ferie in Italia.Tuttavia, siccome in economia non esistono pasti gratis, la svalutazione ha anche dei lati negativi. Prima di tutto fa aumentare il costo dei prodotti importati. I consumatori che decidono di acquistare qualcosa che viene realizzato all’estero devono metter in conto di spendere di più.

Se questo da un lato contribuisce a ridurre le importazioni (scoraggiate appunto dal maggior costo) dall’altro aggrava la corsa dei prezzi. Non a caso si parla spesso di inflazione importata. Ma tra le cose che l’Italia importa dall’estero, come si sa, ci sono l’energia e le materie prime, di cui il nostro Paese è povero. Un euro debole tende ad aggravare l’onere sostenuto dalle imprese e a far lievitare le bollette delle famiglie e i prezzi dei carburanti. Anche perché, a parte il gas, il petrolio e numerose materie prime si pagano in dollari. Insomma, per le imprese, a fare da contraltare a una maggiore convenienza di prezzo per i propri prodotti c’è un aumento dei costi di produzione.

É il vecchio dilemma di quando c’era la lira: la svalutazione dava fiato alle esportazioni ma faceva crescere anche i costi per le aziende. Inoltre, il deprezzamento dell’euro avviene in un contesto internazionale già segnato da prezzi di materie prime ed energia fuori controllo. Rimane comunque difficile fare un bilancio complessivo. Le filiere ormai sono globali ed è raro che un prodotto sia realizzato al 100% in un solo Paese. È chiaro, però, che per le aziende che vendono prodotti di alta qualità i vantaggi della svalutazione sono maggiori degli svantaggi, dal momento che sono in grado di assorbire gli aumenti dei costi con più facilità.