
Sandro Neri, Pino Nicotri e Paolo Dal Bon durante l’incontro al Municipio 5
Milano, 21 novembre 2021 - Giorgio Gaber, il rapporto col pubblico, la capacità di scalfire il reale, persino il look. Paolo Dal Bon, presidente della Fondazione Gaber, Pino Nicotri, giornalista e scrittore, e Sandro Neri, direttore de "Il Giorno" ne hanno discusso ieri in un incontro pubblico, patrocinato dal Municipio 5 e promosso dal Centro Culturale Conca Fallata dal titolo "Giorgio Gaber, legalità, libertà e partecipazione". Il direttore de Il Giorno che del "cantattore" ha scritto la biografia ("Gaber. La vita, le canzoni, il teatro") ha ricostruito il percorso dal ’68 "gli anni del noi, della partecipazione reale e condivisa al pubblico" a un graduale distacco da quella posizione con "frustrate al pubblico dopo il 1978, arrivando con “Polli di allevamento“ a contestazioni durante gli spettacoli. Gaber però ha sempre proseguito a raccontare la realtà dal punto di vista della sua coscienza e di quella di Sandro Luporini, al di là di ogni schieramento. E sente fino alla fine il bisogno di incidere con il suo lavoro". Uno snodo importante è rappresentato da "La libertà", la canzone manifesto scritta con Sandro Luporini, incisa nel 1972. "È una delle canzoni che più tormentavano gli autori, perché le intenzioni vennero travisate. Tutti tentarono di impossessarsi di quella strofa ("libertà è partecipazione") per farne slogan politico, cosa che li mandò letteralmente bestia: non erano per nessuna formazione in particolare. Giorgio e Sandro credevano alla politica in senso alto, non a quella dei partiti e dei riti di campagna elettorale. Per loro la libertà era spazio di incidenza. Il Teatro Canzone - l’abbinamento di canzoni e monologo con un filo conduttore - è stato un modo per incidere nella realtà del loro tempo con brani che si sono rivelati profetici e attuali anche oggi". "Io ho avuto la fortuna di conoscere Gaber dal 1985 in poi, organizzando per lui 1.500 spettacoli: era una persona eccezionale", ha ricordato Paolo Dal Bon, presidente della Fondazione Gaber. "Gaber strimpellava ricordando un po’ il buffone medievale: irrideva tante cose facendo finta di prenderle sul serio. In questo era insuperabile. Un signore che vestiva come un impiegato, sempre in giacca e cravata, che usava la chitarra classica e non quella elettrica ma cantava su temi che ancora oggi sono attuali. Non so se i temi dei Måneskin saranno attuali fra una settimana o fra un anno" ha detto Pino Nicotri, giornalista e scrittore. E a proposito del look di Gaber, Dal Bon ha ricordato che "dalla metà degli anni Ottanta, quando ha deciso di entrare nel sistema teatrale, gli sembrava opportuno anche per ragioni anagrafiche mettersi in giacca e cravatta: uno dei suoi insegnamenti è anche saper vivere la propria età".