Donatella Finocchiaro: "Goliarda, fragile e fortissima. Come il teatro"

Donatella Finocchiaro nei panni della scrittrice catanese de “L’arte della gioia“ al Franco Parenti

Donatella Finocchiaro in "L’arte della gioia"

Donatella Finocchiaro in "L’arte della gioia"

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L’arte della gioia. E chissà se Goliarda Sapienza ne aveva un pizzico di quell’arte. Di quel titolo così seducente, che postumo le donò un successo mai davvero arrivato in vita. Troppo libera, troppo tutto la scrittrice catanese. Con una lunga vita di battaglie e un giro perfino a Rebibbia, dove a suo dire aveva finalmente trovato un ascolto (umano) degno di questo nome. Bello ora scoprirla a teatro. Da martedì al Franco Parenti, “Il filo di mezzogiorno” porta in scena l’omonimo romanzo del 1969, adattato da Ippolita di Majo per la regia di Mario Martone. Un viaggio intimo. A condividere il proprio percorso psicanalitico dopo la depressione, il manicomio, gli elettroshock. Ruolo complesso. Affidato a Donatella Finocchiaro. Da sempre in bilico fra teatro, cinema, tv, è lei a percorrere la strada: dal buio alla luce. Al suo fianco Roberto De Francesco. Donatella, è stato difficile avvicinare Goliarda Sapienza? "Molto. Ma è un romanzo che amo da tempo, insieme a “L’arte della gioia”. L’adattamento di Ippolita di Majo mi ha poi aiutato a trovare senso e azione. Provo anche una grande empatia per questa donna fragile e fortissima, dalle sfumature quasi violente nella follia". Come la descriverebbe? "La scrittura così corposa ci fa immaginare cosa potesse esserci dentro la sua testa, i pensieri che ne guidavano l’agire, quel credere assoluto nella libertà e nell’uguaglianza. La sua visione era politica e filosofica. E lei stessa emerge come una donna illuminata, poetessa e femminista ante litteram. Capace di comporre brani di grande emozione. Il mio monologo conclusivo è molto forte, lo vedo negli occhi degli spettatori". Il percorso è quello di una guarigione. "Sì, fu guarita da Ignazio Majore ma lo rese poi oggetto di un transfert. Finirono insomma per innamorarsi, mettendo in discussione tutte le cose buone fatte fino a quel momento, compresa la stessa psicanalisi. Majore si allontanò perfino dalla professione, l’esperienza con Goliarda era stata sufficiente. Come si può immaginare quindi, nello spettacolo ci sono anche momenti molto, molto divertenti". Perché secondo lei il successo è arrivato solo dopo la morte? "La sua mentalità dà fastidio ancora adesso, figurarsi decenni fa. È una donna contro, di un rigore assoluto che paga con la depressione". Com’è stato il ritorno sulle scene? "Meraviglioso. Mi mancava troppo il teatro. Nel primo lockdown ho potuto passare molto tempo con mia figlia, è stato bello, mi ha riportato al gioco. A luglio è poi ricominciato il cinema. Ma per il teatro abbiamo dovuto aspettare. E ora mi emoziona, nonostante le platee mezze vuote. Dopo un po’ sul palco me lo scordo e cado come in trance. Mi spiace solo per le persone che dobbiamo rimandare a casa". È un buon periodo? "Sì, nonostante tutto. Ci sono i progetti per il cinema, quelli per la tv, come la serie dedicata al personaggio di Carlo Monterossi, dove sarò una donna misteriosa al fianco di Fabrizio Bentivoglio. Insomma, va bene. Anche se per il teatro si capirà qualcosa in più solo nei prossimi mesi".