CLAUDIA CANGEMI
Cultura e Spettacoli

Carlotta Jesi: "I miei figli sono dislessici, mi insegnano altri sguardi"

La giovane mamma racconta la sua esperienza nel libro "I miei bambini hanno i superpoteri”

Carlotta Jesi con i suoi figli cui ha dedicato “I miei bambini hanno i superpoteri”

Milano,15 aprile 2017 - Si fa presto a dire dislessia. E ancora di più a liquidarla con una pacca sulla spalla e la “prescrizione” di ausilii adeguati. Ma per le tante famiglie che devono farci i conti tutti i giorni è tutta un’altra storia. Ne sa qualcosa (anzi parecchio) Carlotta Jesi, che il problema lo vive “al quadrato”. Entrambi i suoi figli, infatti, hanno disturbi dell’apprendimento. Ma lei ha raccolto la “sfida” e trasformato la difficoltà in opportunità. E in condivisione, attraverso il libro uscito nelle scorse settimane per i tipi di Sperling & Kupfer.

Cominciamo dal titolo: “I miei bambini hanno i superpoteri”. Suona quasi paradossale...

«Un po’ ironico, ma contiene il messaggio che mi premeva comunicare soprattutto. Occorre aprire la mente e provare a confrontarsi con la persona che abbiamo di fronte, invece che con le nostre aspettative e i tanti radicati stereotipi. Solo così potremo provare ad aiutare i nostri figli, che in caso contrario resteranno “prigionieri” delle proprie difficoltà e si sentiranno irrimediabilmente inadeguati».

Suona facile, ma in pratica come si fa?

«È proprio questo l’interrogativo da cui sono partita. La diagnosi è semplice, la quotidianità ben altro. Significa confrontarsi e scontrarsi di continuo con ragazzi che hanno un altro modo di pensare, un altro ritmo rispetto a quelli cui noi siamo abituati. E che ci sembrano i migliori e i più razionali solo perché assumiamo che siano quelli “normali”».

Può farci qualche esempio?

«Un giorno stavo tentando di aiutare mio figlio minore a studiare l’impero romano. Dopo molti tentativi infruttuosi, esasperata lo invitai a far da solo. Quando tornai in camera sua, dopo un’ora, vidi che aveva coperto il pavimento della stanza di fogli con date scritte a lettere cubitali. In questo modo riuscì a memorizzare alla perfezione».

L’esperienza vissuta vale più di mille trattati.

«Già. Si tratta di cambiare lo sguardo: anziché pretendere che gli altri ci vengano incontro, provare a raggiungerli sul loro terreno. L’aneddoto che ho citato mi è servito a capire che i miei figli pensano per immagini e non per parole. Casa nostra è disseminata di vignette e disegni. Ai miei ragazzi riescono difficili operazioni che per altri sono semplici, e questo è un dato di realtà. L’accettazione è il primo passo. Poi però si tratta di scegliere se rassegnarsi e “abbassare l’asticella” o accettare la sfida, provando a scoprire e attivare le risorse creative dei bambini e dell’intera famiglia».

Questo per quanto riguarda il “privato”. E dal “pubblico” non c’è da aspettarsi (e pretendere) nulla?

«Lo Stato ti dà una certificazione e prescrive “ausilii”, dopo di che ritiene che il suo compito sia esaurito. Ma è tutto il contrario, perché in questo nostro mondo miope e omologato il più grande terrore di un ragazzino è sentirsi ed essere considerato “diverso”, e non in senso positivo. Invece a suo modo ciascuno è davvero un “supereroe”, solo che invece di volare come Superman deve imparare che la vita è una maratona: la fatica è tanta e nessuno può farla al tuo posto, però è importante poter contare su allenatori, sostenitori e tifosi».

E la scuola? È preparata?

«Purtroppo spesso non lo è. Molto dipende dalla sensibilità e formazione dell’insegnante, ma è come un terno al lotto. Per questo sono entrata a far parte di un gruppo di studio al Politecnico. Il progetto è realizzare una scuola che non diventi un ghetto ma l’occasione di sperimentare una didattica innovativa. Vado anche nelle scuole di tutta Italia. La settimana scorsa a Foggia ho incontrato un gruppo di insegnanti preparatissimi. E ho scoperto che erano stati formati sfruttando fondi europei».

Il suo libro però è dedicato soprattutto ai genitori.

«Certo. A quelli che hanno figli in difficoltà, per farli sentire meno soli e scambiarsi consigli preziosi. Ma anche alle altre famiglie, che qualche volta “remano contro” perché pensano che i nostri figli “rallentino” il gruppo classe, e non capiscono quanto è prezioso confrontarsi con la ricchezza della diversità».