"Nel vortice di Carmelo Bene il suono della Divina Commedia"

L'intervista al musicista Arto Lindsay protagonista al Castello Sforzesco

Arto Lindsay

Arto Lindsay

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"Io non faccio spettacolo, fondo l’esistenza" diceva Carmelo Bene a proposito della sua Lectura Dantis libera da ogni convenzionalità. Ed è su quel linguaggio figlio del momento che un’icona della no-wave newyorkese come Arto Lindsay ha costruito al Castello Sforzesco il suo Alighieri. Nell’ambito della Milanesiana, con "Voce e Vortice", pesaggi sonori che lo vedono tornare indietro di quarant’anni per riprendere stralci della Divina Commedia interpretata da Bene a Bologna, un anno dopo la bomba alla stazione, tra le urgenze e gli umori di una serata "dedicata, da ferito a morte, non ai morti, ma ai feriti dell’orrenda strage". E quindi ad un paese che ne avrebbe portato i segni per sempre. Arto, perché ha scelto di musicare il Dante di Bene? "Perché quel 31 luglio dell’81 ad ascoltarlo sotto al balcone della Torre degli Asinelli c’ero anch’io. Non avendo familiarità con l’italiano del Tredicesimo secolo e poca pure con quello del Ventesimo, mi lasciai prendere innanzitutto dal suono della voce. Così quando ho pensato ad un progetto sui settecento anni di Dante ho cercato le registrazioni di quella sera". A Bologna Carmelo per accompagnare la lettura si avvalse della musica di Salvatore Sciarrino, lei come utilizza quei frammenti audio? "Con i miei compagni d’avventura Melvin Gibbs, Roopa Mahadevan, Rachele Andrioli e Redi Hasa ci facciamo guidare dalla sua recitazione, ora sostenendola ora semplicemente colorandola coi nostri interventi. Sono molto affascinato dal personaggio Bene e scopro su di lui cose nuove ogni giorno. Se dovessi avvicinarlo a qualche altro artista penserei al regista Glauber Rocha, alfiere di un movimento importantissimo per la cultura brasiliana come quello del Cinema Novo" Figlio di missionari, lei è nato a Richmond, in Virginia, e cresciuto in Brasile. Quanto ha inciso Dante sulla sua formazione? "Anche se certe descrizioni, certi quadri e certi personaggi della Commedia sono famosi in tutto il mondo, la mia è stata una conoscenza di seconda mano, arrivata grazie all’opera di Joyce e in particolare ai riferimenti che ne fa T.S. Eliot ne ‘La terra desolata’". Fra le sue tante avventure musicali, quali considera le più formative? "Probabilmente la prima. Mia madre suonava il piano e da ragazzo sono cresciuto ascoltando Nat King Cole, Debussy, Hendrix, la Franklin, Miles Davis. Ci sono stati poi tanti incontri importanti, da cui ho tratto straordinari insegnamenti, a cominciare da quello con Caetano Veloso". Ha fatto esperienze pure con Hi-Fi Bros, Avion Travel ed altri artisti italiani. Cosa le hanno lasciato? "Lavorare con loro mi ha spalancato i mondi musicali di Paolo Conte, di Nino Rota, e da lì sono passato a quelli letterari di Moravia, Pavese, Sciascia, Malaparte, Pasolini. Diciamo quindi che so poco della cultura classica italiana mentre quella del Novecento la conosco un po’ meglio".