Nucleare, boom della produzione di scorie in Lombardia

Il rapporto annuale sulla sicurezza, un centro di trattamento su quattro è a nord del Po. E nell’ex centrale di Caorso lavori fino al 2036

Nucleare

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Milano, 7 agosto 2020 - Una lunga eredità della quale non ci libereremo fino al 2036. E un’altra, della quale (forse per fortuna) non ci libereremo mai. Il nucleare, a 33 anni dal referendum che sancì per l’Italia l’abbandono di questa forma di energia, non è mai sparito. E anzi sembra che la Lombardia ne sua una delle terre d’elezione. A dirlo è il rapporto annuale dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza del nucleare, che vigila su trasporti radioattivi, scorie, depositi e centri di trattamento. Secondo il dossier, non ci sono quindi solo le centrali nucleari in smantellamento (la più grande e vicina è quella di Caorso, nel Piacentino). Un quarto di tutti i centri autorizzati a trattare rifiuti nucleari radioattivi, sono in Lombardia.

E la produzione segna un aumento, proprio nella nostra regione. Nella nostra regione si passa da 5.875 metri cubi di scarti a 6060 nell’arco di un anno. Un effetto collaterale dell’elevata concentrazione di ospedali, specie nel Milanese, dove le readiazioni “buone“ consentono diagnosi sempre più precise e cure mirate per i malati di cancro. Ma ci sono anche le attività di smantellamento di vecchi centri di ricerca, che provocano anche un leggero aumento delle emissioni nell’aria.

C’è per esempio il Ccr Ispra, dove si stanno tenendo lavori e cresce l’emissione di fondo nell’ambiente. C’è anche reattore Lena di Pavia, dove la dispersione ambientale (appena percebibile) è in calo. Ma soprattutto c’è Caorso, l’ex centrale nucleare, più vicina alla Lombardia che a Piacenza, dove sono ancora conservati 2mila metri cubici di scorie da trattare. Di “Arturo“, la più grande e moderna centrale termonucleare italiana, stroncata sul nascere dal referendum del 1987, quasi tutti si sono dimenticati. Ora è Sogin, la società pubblica che cura la riconversione, a lavorarci con 104 dipendenti. E lentamente l’operazione di bonifica procede. Tutte le scorie saranno portate via entro il 2031. Costo: altri 330 milioni. Ma per riconsegnare l’area a un uso civile ci vorranno cinque anni in più.