Brusca libero, la vedova del caposcorta di Falcone: "Difficile stare con lo Stato"

Indignazione dopo la libertà per fine pena dell'uomo che ammise 150 omicidi, attvò la strage di capaci e sciolse un bimbo nell'acido. Ma è la legge voluta da Falcone

La strage di Capaci. Giovanni Brusca premette il telecomando per l'esplosione

La strage di Capaci. Giovanni Brusca premette il telecomando per l'esplosione

Il dolore, l’indignazione, lo sconcerto. E’ un coro quello che segue alla liberazione dopo 25 anni di carcere del mafioso Giovanni Brusca, l’uomo che prima strangolò poi sciolse nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito di mafia. Ma anche l’uomo che premette il telecomando per innescare l’esplosione della carreggiata in autostrada. in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. Reazioni unanimi, anche tra i politici, che invocano la revisione della legge. Con due eccezioni, che sottolineano il valore del pentitismo. La sintesi la fa  il sottosegretario alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto: "Questo episodio di Brusca colpisce molto l'etica di ciascuno di noi. Però, come dice bene Maria Falcone, è doloroso ma è stata rispettata la legge".

“La scarcerazione di Brusca lascia senza parole - dice Tina Montinaro, vedova di Antonio, capo della scorta di Giovanni Falcone, morto nella strage di Capaci - Adesso i sapientoni e gli opinionisti andranno in tv a dire la loro, ma io in questo momento provo un grande fastidio. Ho lottato  per il cambiamento e per diffondere il sentimento di legalità tra i giovani, ma oggi è più difficile dire che bisogna stare dalla parte dello Stato”.  Brusca è fuori dal carcere “ma noi non sappiamo ancora tutta la verità sulle stragi - sottolinea poi -. Queste sono le risposte che dà lo Stato a chi ha dato la vita per difenderlo. Per quanto mi riguarda continuerò le mie battaglie e continuerò a fare capire ai ragazzi che devono scegliere da che parte stare perché noi della Polizia di Stato ci crediamo e continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto”.

A lanciare anche un allarme è Leonardo Guarnotta, tra gli stretti collaboratori di Giovanni Falcone, componente del pool antimafia: “Tanti collaboratori ci hanno detto che si esce da Cosa nostra in un solo modo, cioe’ con la morte, non in un’altra maniera. Guarnotta manifesta anche perplessità  sulla genuinità del pentimento di Brusca. Il boss di San Giuseppe Jato, che si e’ auto-accusato di 150 delitti e che si defini’ “un mostro”, e’ colui, ricorda ancora Guarnotta  “che ha schiacciato il pulsante della strage di Capaci, non potra’ mai essere perdonato. E puo’ darsi - aggiunge, manifestando un timore forte - che tornando in Sicilia possa riallacciare rapporti con persone che ancora hanno fiducia in lui e lo rispettano”.

La scarcerazione “è stato un pugno nello stomaco che lascia senza respiro e ti chiedi come sia possibile”, dice il segretario del Pd Enrico Letta . “Anche io ho letto le parole di Maria Falcone che è rimasta anche lei colpita umanamente ma quella legge, ha spiegato, l’ha voluta anche mio fratello perché è una legge che ha consentito tanti pentimenti, arresti e ha consentito di scardinare la criminalità e la mafia”. Non è da meno il leader della Lega: «Una schifezza. Con tutto il rispetto delle norme, ma bisogna cambiare questa legge. Brusca è una bestia che non può uscire dalla galera. Se c’è l’ergastolo a chi dovremmo darlo se non a lui? Io da essere umano non riesco a esser così buono: per lui ergastolo e lavoro obbligatorio in carcere», dice Matteo Salvini. “La scarcerazione di Brusca richiama ancora una volta le sofferenze delle vittime e dei loro familiari e riaccende ancora più forte la loro indignazione. Questo momento conferma quanto bisogno vi sia ancora di verità e giustizia nel nostro Paese”. A dirlo è il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando.

 “Fa gelare il sangue la notizia della scarcerazione per fine pena dello scannacristiani, che ha fatto sciogliere nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo e fatto saltare in aria il giudice Falcone e la sua scorta. E’ come se si fosse riaperta la voragine nell’asfalto di Capaci, al sangue versato si aggiunge l’umiliazione di uno Stato che appare incapace di perseguire la giustizia. Perche’ non c’e’ giustizia senza verita’, e sono ancora tanti i dubbi sulla reale portata del pentimento di Brusca e sulla completezza delle sue rivelazioni, che hanno lasciato ad oggi numerosi interrogativi senza risposta sulla stagione delle stragi”. Lo afferma la deputata di Fratelli d’Italia Wanda Ferro, segretaria della Commissione parlamentare antimafia.

Controcorrente Carlo Sibilia, parlamentare del Movimento 5 Stelle: “Il fatto che ci siano delle misure previste di agevolazione di una pena volute proprio dal giudice Falcone secondo me dimostrano la grandezza della civiltà del nostro Paese che riesce a trattare le mafie, che è avanti rispetto a tutti gli altri Paesi sulla conoscenza di questo fenomeno. E io mi rifaccio alle parole della sorella di Falcone quindi ben venga che ci sia stata la collaborazione, che ci siano state delle agevolazioni. Adesso vigileremo ancora in maniera più forte, questo è uno stimolo ancora più grande a dare tutto quello che è possibile per sconfiggere le mafie”. 

Gli viene in soccorso proprio il fratello del giudice Borsellino,ucciso dalla mafia poco dopo Falcone: "Giovanni Brusca e' un assassino, e' uno dei peggiori e la sua liberazione sicuramente e' una cosa che umanamente ripugna, ma e' necessaria". Cosi' Salvatore Borsellino , che precisa. "Quella contro la mafia e' una guerra dello Stato e in guerra purtroppo bisogna fare anche cose che ripugnano e questa liberazione fa parte di un pacchetto di norme studiato da Giovanni Falcone proprio per avere delle armi per condurre questa lotta di cui fanno parte l'ergastolo ostativo, il 41 bis e la legislazione premiale nei confronti dei collaboratori di giustizia. E' un insieme che costituisce un'arma formidabile sicuramente per vincere questa guerra".

Sulla falsariga anche un altro magistrato eccelente. "Sono d'accordo con quello che ha detto Maria Falcone. E' la legge che si applica ai collaboratori di giustizia. Una legge, peraltro, pensata anche da alcune delle vittime della stessa mafia, Borsellino, Falcone e altri. E' una legge che ci è servita contro il terrorismo, contro la mafia. Certamente capisco bene lo stato d'animo dei familiari delle vittime, ma come c'è stato l'ergastolo per altri, tipo Riina o Provenzano, che sono morti in carcere, per chi ha collaborato non è così". A dirlo è Luciano Violante, ex presidente della Camera che fra il giugno del 1992 e il maggio del 1994 guidò la Commissione parlamentare Antimafia,

"Lui - dice invece dice Luciano Traina, ex poliziotto in servizio a Palermo negli anni Novanta, - non e' un vero collaboratore di giustizia, non si e' costituito. E' stato arrestato, ha fatto una scelta di convenienza, ha pensato ai suoi interessi. E soprattutto non ha detto chi sono i veri mandanti delle stragi e perche', davvero, furono fatte. Lo Stato non funziona e per noi familiari la sofferenza resta".