Bimbo bullizzato dalle maestre alla scuola di Pavia, si ribaltano le accuse

Le insegnanti pubblicavano in chat le foto del piccolo in castigo e lo chiamavano "pirla". Il pm chiede l’archiviazione per le docenti. Un altro magistrato mette sotto accusa la madre: ha letto i messaggi

un cellulare

un cellulare

E così lo sdegno finisce in bolla di sapone. La maestra che “bullizzava“ in chat il suo alunno non è imputata, mentre la mamma del bimbo, che denunciò il caso, lei sì che è indagata. Almeno per ora. Pirla, pirletta, bambino di merda: tutti “complimenti“ dedicati dalla maestra di una scuola elementare a un proprio allievo di otto anni, messi per scritto in una chat di WhatsApp con due colleghe. L’insegnante aveva anche “postato“ una foto del bimbo seduto al banco ma in castigo. E quando quei messaggi erano stati letti casualmente da un’altra docente, che però era anche la mamma del bambino preso di mira, il caso della maestra che “bullizza“ l’alunno era esploso sui giornali e in tivù.

La scoperta

La donna aveva scoperto gli insulti a suo figlio sedendosi per caso davanti al computer di un’aula dove la chat fra le sue colleghe era rimasta aperta. Si rese conto che per quattro mesi, da novembre a febbraio scorsi, il bambino era stato vittima di pesanti sfottò nelle conversazioni telematiche. La madre era stata colpita dal tenore di quei messaggi. E tra le foto, condivise su WhatsApp, c’era quella che lo mostrava dopo che aveva ricevuto un castigo. La scoperta delle chat aveva sconvolto molte famiglie degli alunni della scuola. La maestra-mamma denunciò le colleghe con l’avvocato Luisa Flore, mezza Italia ribollì di sdegno, le maestre furono sospese dal preside e la procura di Pavia aprì un’inchiesta per maltrattamenti, abuso di mezzi di correzione e diffamazione.

Vicenda choc

Successe lo scorso aprile. Appena il mese dopo (si scopre ora) il pm che seguiva il caso ne chiese l’archiviazione. Niente maltrattamenti (solo un clima troppo “competitivo“ in classe, quello instaurato dalla maestra). Niente abuso di mezzi di correzione (manca il trattammento “afflittivo“ nei confronti dell’alunno, secondo il pm). E da ultimo, non c’è nemmeno la diffamazione. E “bambino di merda“? "(...) il contenuto delle frasi, per quanto caustico, non presenta carattere diffamatorio", garantisce il magistrato nel chiedere l’archiviazione del caso. E se anche fosse, del resto, secondo la Procura mancherebbe "l’elemento soggettivo del reato": dicendo che quello era un “bambino di merda“, la maestra insomma non voleva offenderlo. Le stesse frasi ripetute alle due colleghe in chat erano, secondo il pm pavese, "più che altro dichiarazioni estemporanee (...) dirette esclusivamente a “sfogare“ le proprie frustrazioni del momento con una collega".

Il paradosso: mamma sotto accusa

E così, nel mondo all’incontrario, poche settimane dopo sono state due delle tre maestre protagoniste di questa bella prova educativa a querelare la mamma del bambino (non) “bullizzato“, accusandola di aver abusivamente letto la loro corrispondenza sul computer della scuola. Inchiesta parallela, questa, finita alla procura di Milano competente a livello distrettuale per i reati informatici, e che vede indagata proprio la mamma. Unica consolazione, per lei, il passaggio in cui – pur nella richiesta di archiviazione per le sue colleghe – il magistrato pavese concede che gli accertamenti hanno fatto emergere "una incapacità professionale delle indagate, in quanto talvolta prive delle doti di sensibilità e umanità necessarie per supportare le esigenze degli alunni a loro affidati". Nessuno è perfetto.