Lombardia, zona gialla o arancione? E dal 15 gennaio nuovo Dpcm

Calendario stabilito fino al giorno dell'Epifania. Poi è un'incognita: dipende tutto dall'andamento della curva epidemiologica

Bar pieni a Milano

Bar pieni a Milano

Milano, 3 gennaio 2021 - Rossa, arancione o gialla? Se ne sentono ancora di tutti i colori e una certezza non c'è per quanto riguarda la ripartenza della Lombardia dopo le festività natalizie, caratterizzate dal calendario introdotto dal Governo dal 24 dicembre al 6 gennaio. 

Il calendario dal 3 al 6 gennio

Intanto, oggi, domenica 3 gennaio le restrizioni sono al massimo livello perchè la regione si trova ancora nella zona rossa e sarà così anche il 5 e 6 gennio, giorno dell'Epifania. Domani, lunedì 4 gennaio, 24 ore di misure leggermente più soft con la zona arancione. 

Lombardia in zona arancione lunedì 4 gennaio: ecco cosa si può fare

Zona rossa o arancione: il calendario
Zona rossa o arancione: il calendario

Cosa succede dal 7 gennaio?

Poi, da giovedì 7 gennaio è un'incognita: la mappa delle zone potrebbe cambiare, con nuove strette. Gli ultimi numeri destano preoccupazione soprattutto per Veneto, Liguria e Calabria: con l’Rt sopra l’1 si rischia di non uscire dalla zona rossa (che termina con l'Epifania). Mentre la Lombardia, regione più duramente colpita dalla pandemia (insieme e Puglia e Basilicata), potrebbe finire in zona arancione, ma la speranza è di tornare in zona gialla, come prima di Natale. Nel territorio lombardo l'indice Rt è salito a 1 e il tasso di positività ha raggiunto l'11,9%: un dato più basso della media nazionale ma comunque significativo. Intanto, dalla Regione fanno sapere che per ora l’unico incontro con il Governo e il Comitato Tecnico Scientifico nazionale è fissato per l’8 gennaio. Se da qui a quel giorno non interverranno altre convocazioni, il 7 e l’8 saranno gialli e le sorti dei giorni successivi dipenderanno dall’esito del confronto tra Governo e Regioni. Decisivi dovrebbero essere, a tal proposito, i dati che emergeranno dal monitoraggio fissato per il 5 gennaio. Nel frattempo, questa mattina, è stata convocata una riunione tra il premiere Giuseppe Conte e i capidelegazione della maggioranza, per fare un punto sull'emergenza Covid. Alla riunione partecipa anche il ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia.

Lombardia zona gialla, ecco le regole

Nuovo Dpcm dopo il 15 gennaio

Da capire anche cosa accadrà dal 15 gennaio, giorno in cui scadrà l’ultimo decreto del Governo, quello nel quale sono previste le restrizioni-base, le restrizioni valide a livello nazionale al di là del colore in cui si trova la singola regione. L’obiettivo del nuovo Dpcm sarà, probabilmente, quello di prevedere indicazioni più precise e stabili per le Regioni. Il presidente del Consiglio è comunque stato molto chiaro: il sistema delle zone gialle, arancioni e rosse rimarrà in vigore ancora per molto tempo. Potrebbe tuttavia arrivare una modifica relativa ai parametri che sanciscono il passaggio di una Regione all’altra. È arrivato all’ISS, infatti, un documento stilato dagli enti locali che potrebbe influire sui 21 indicatori che stabiliscono l’assegnazione delle zone. Una delle proposte “riguarda il calcolo dei tamponi antigenici e molecolari, che potrebbe influire il tasso di positività". Se la proposta sarà accettata dall’ISS - e la modifica dei parametri potrebbe essere implementata proprio con il Dpcm del 15 gennaio - in sostanza le regole potrebbero rimanere le stesse consentendo al tempo stesso maggiori aperture.

Impianti da sci, riapertura dal 18 gennaio

A proposito di restrizioni, la Giunta regionale ora plaude la decisione del Governo di riaprire gli impianti da sci il 18 gennaio, mentre nelle scorse settimane se n’era ipotizzata la riapertura già dal 7 gennaio. "Il Governo ha finalmente ascoltato le Regioni e le Province autonome: siamo soddisfatti della decisione del ministro Roberto Speranza" hanno dichiarato in un comunicato congiunto Martina Cambiaghi, assessore allo Sport della Regione Lombardia e gli assessori con delega allo sci delle Regioni e Province autonome dell’arco alpino oltre che della Regione Abruzzo. "Oltre all’approvazione del protocollo, per cui aspettiamo la validazione del Cts, avevamo chiesto una data certa per permettere all’intero mondo della montagna invernale di prepararsi a dovere: ora ce l’abbiamo" hanno preoseguito li assessori regionali. Nelle scorse settimane, però, le stesse Regioni avevano attaccato il Governo per la scelta di lasciar chiusi gli impianti nelle festività natalizie.

Ritorno a scuola, pochi autobus e niente lezioni al pomeriggio

Per quanto riguarda la scuola, a cinque giorni dall’annunciata riapertura, la maggior parte delle Regioni si accorge che bisogna convocare una riunione d’urgenza per stabilire come far ritornare gli studenti in classe. Sempre che sia possibile farlo, perché gli annunci squillanti di un 7 gennaio quasi normale con le lezioni in presenza a scuola al 50%, sono già un lontano ricordo. Eppure di tempo ce n’era per pianificare il rientro (in sicurezza) e le lezioni in presenza. Completamente dilapidato. Così va in scena il solito scaricabarile. Le Regioni se la prendono con chi doveva pensare a potenziare le corse dei mezzi pubblici. Salvo notare che l’affluenza degli studenti sui bus, come sottolinea Arrigo Giana, presidente dell’Agens, l’agenzia confederale dei traporti, è decisamente meno rilevante di quella delle altre categorie e degli altri pendolari. E comunque chi si occupa di trasporti dice che quello che andava fatto è stato fatto. E’ la tesi anche del ministero guidato da Paola De Micheli: le corse di metro e bus sono sufficienti, piuttosto chi doveva pensare a orari davvero scaglionati, magari con ingressi a scuola anche pomeridiani, non ci ha pensato (o non ha voluto pensarci). Apriti cielo, i dirigenti scolastici (e non solo loro, perché anche sindacati, insegnanti e bidelli sono sulla stessa linea), sostengono che far lezione di pomeriggio sia pressoché impossibile. Risultato? Tutto il peso delle scelte che non sono state fatte, dal governo a scendere, viene fatto ricadere sugli studenti. Così, pensare a un ritorno alla (quasi) normalità, sembra difficile. Il ministro Lucia Azzolina continua a ripetere: "Non possiamo arrenderci, ricordandoci sempre del peso specifico che questa Istituzione ha nel percorso di ogni bambina e bambino, delle ragazze e dei ragazzi, nella vita del Paese. Arretrare sulla scuola, significa rinunciare a un pezzo significativo del nostro avvenire. Per questo non lo faremo". Ma credere che il 7 gennaio – mancano quattro giorni (e c’è in mezzo una domenica e l’Epifania) – tutto fili liscio col rientro in classe del 50% della popolazione scolastica è più che altro una professione di fede. In tutto questo c’è anche l’imbarazzo e la cautela delle Regioni. 

Lombardia, la regione più colpita fa pochi vaccini

Nel frattempo proesegue la campagna vaccinale anti-Covid, ma la Lombardia è tra le regioni che finora hanno somministrato il minor numero di vaccini contro il Coronavirus. Un dato che emerge dal report pubblicato sul sito del Ministero della Salute. Un dato che ha fatto sì che il nuovo anno iniziasse da dove era finito il precedente: la polemica sulla gestione dell’emergenza sanitaria da parte della Regione. Nel dettaglio, la Lombardia ha finora ricevuto dal Governo 80.595 dosi di siero Decisamente distanziate la seconda e la terza regione per numero di dosi ricevute: la Sicilia (46.510) e il Lazio (45.805). Ovvio che la Lombardia ne abbia avute di più, se si considera che al virus ha pagato il prezzo più alto. Quanto alle dosi somministrate, però, la Lombardia si ferma a 2.416 (dato pubblicato dal ministero alle 18.34 di ieri): il 3% delle dosi ricevute. Peggio della Lombardia hanno fatto solo Basilicata, Calabria, Molise, Sardegna e Valle d’Aosta. In testa alla graduatoria sono la Provincia autonoma di Trento, che ha sommistrato il 34,8% delle dosi, il Lazio (23%) e l’Umbria (19,8%). Meglio della Lombardia hanno fatto le altre 4 regioni particolarmente colpite dalla pandemia: Veneto (15,5%), Piemonte (14,7%), Campania (9,2%) ed Emilia Romagna (7,2%).