Enzo Tortora, il suo arresto fra errore giudiziario e "manette spettacolo"

Il popolare conduttore tv fu assolto dall'accusa di traffico di droga dopo un calvario durato oltre tre anni. La lotta della figlia Silvia per la riabilitazione

Enzo Tortora e la figlia Silvia, in una foto del 1987

Enzo Tortora e la figlia Silvia, in una foto del 1987

Quattro del mattino del 17 giugno 1983. I carabinieri entrano all'hotel Plaza di Roma e si dirigono verso la stanza dove si trova Enzo Tortora, giornalista e popolarissimo conduttore tv, genovese, classe 1928, padre di Silvia Tortora, la giornalista tv scomparsa oggi. Bussano alla porta e gli mostrano il provvedimento di arresto. Il volto di "Portobello", programma di successo che porta sul piccolo schermo gli scambi dei mercatini di bric-a-brac, aprendo una finestra sull'Italia nascosta di inventori, artigiani e collezionisti, è accusato di traffico di stupefacenti. Secondo le confidenze raccolte da tre malavitosi, in carcere con l'accusa di aver commesso omicidi e di aver fatto parte di clan della camorra e della mafia, Tortora sarebbe l'uomo di contatto fra la criminalità e il mondo vip in una fiorente attività di compravendita di cocaina. Milioni di spettatori rimangono sotto choc, non solo di fronte ai pesantissimi addebiti rivolti a un uomo noto per la sua mitezza così come per la fermezza delle sue posizioni ma anche per le immagini rilanciate dalle tv di Tortora trascinato fuori dall'albergo in manette, affiancato dai carabinieri che eseguono il provvedimento di arresto.

Si tratta di uno dei più grandi errori giudiziari mai commessi in Italia. Lo si scoprirà dopo un calvario giudiziario durato oltre tre anni, compresi sette mesi fra carcere e arresti domiciliari, grazie alla sentenza della Corte d'Appello di Napoli che assolverà da ogni accusa il giornalista. I giudici accertano che le rivelazioni dei tre criminali sono frutto della loro intenzione di guadagnarsi benefici, in primis un alleggerimento delle pene. Nei loro confronti si apre un processo per calunnia. Nessuna contestazione, invece, fu avanzata nei confronti dei pubblici ministeri che a quelle accuse credettero, senza condurre gli accertamenti che avrebbero evitato a Tortora l'arresto. E, soprattutto, al gogna mediatica.

Sì, perché dal momento in cui il "mostro" fu sbattuto in prima pagina, con quelle fotografie di un Tortora dallo sguardo perso nel vuoto, sottoposto all'umiliazione pubblica dell'esibizione delle manette, dai media si scatenò un bombardamento quasi a senso unico (fra le eccezioni Giorgio Bocca, l'inviato di Repubblica che aveva a lungo lavorato anche a Il Giorno, che definì la vicenda "macelleria giudiziaria all'ingrosso" e "primo caso di manette spettacolo") di accettazione acritica dell'impianto accusatorio.

Enzo Tortora tornò in televisione nel gennaio del 1987, accolto dall'imbarazzo di chi gli aveva puntato il dito contro e dalle manifestazioni di affetto del suo pubblico. Riprese a guidare "Portobello". Le sue prime parole, pronunciate con un tono visibilmente commosso furono "Dunque, dove eravamo rimasti?". Nel 1984, mentre si trovava ai domiciliari, il giornalista fu candidato nelle liste del Partito Radicale, da sempre attento alle questioni della giustizia, ed eletto al parlamento europeo. Ma le cose del mondo non avevano smesso di accanirsi contro il volto di altri programmi noti come "Campanile Sera", "Giochi senza frontiere", "La domenica sportiva" e l'ultimo "Giallo". Viene colpito da un tumore ai pomoni, che lo portò via ai suoi cari e al pubblico della televisione nel maggio del 1988.

Alla vicenda che è passata alla storia come "Caso Tortora" sono stati dedicati un film tv ("Un uomo perbene", del 1999) e una fiction ("Il caso Enzo Tortora - Dove eravamo rimasti?" del 2012).