Coronavirus, Burioni: "Fase 2, evitiamo ripartenze selvagge"

Il virologo: "Necessari mascherine, app e distanziamento sociale. Il morbo? Pericoloso quanto prima"

Coronavirus, l'effetto del lockdown

Coronavirus, l'effetto del lockdown

Roma, 15 aprile 2020 - Le imprese studiano la ripartenza. Quali sono i passi che ogni azienda deve seguire? "Ci sono 5 regole fondamentali – risponde il virologo Roberto Burioni –. Misurazione della temperatura all’entrata, mascherine per tutti i lavoratori, gel igienizzanti e disinfettanti per superfici, distanziamento sociale evitando assembramenti in mense e spogliatoi, smart working".

Quanto è alto il rischio che tra maggio e giugno, con le aziende quasi a pieno regime, l’Italia subisca una nuova ondata di casi di Coronavirus? "Impossibile fare previsioni. Non conosciamo ancora bene questo virus, è arrivato tra noi tre mesi fa. Non sappiamo neanche se con la bella stagione il Coronavirus si trasmetta meno: tutti i patogeni respiratori fanno così".

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Le fa paura la riapertura completa degli uffici e delle fabbriche? "Mi fa paura l’ipotesi di dover combattere contro il nemico senza armi. Non sono ottimista. Potrebbero verificarsi nuovi focolai e sarebbe un problema. Ho paura che le aziende non abbiano gli strumenti, per questo bisogna cominciare ora a prepararsi alla riapertura".

L’Italia è pronta? "La decisione di ripartire è politica, non ha niente a che vedere con la scienza: noi possiamo minimizzare il rischio. Io dico: bisogna sapere che dimensione ha l’epidemia. I numeri che ci danno non sono reali. Serve uno studio su un campione indicativo della popolazione per non navigare nel buio. È indispensabile, poi, un tracciamento digitale dei casi di contagio".

Lei ha avallato l’accordo sindacati-Fca per ripartire in sicurezza. È possibile progettare un modello unico per le piccole e grandi aziende? "Abbiamo stilato le regole di fondo, ma ogni azienda ha un suo processo produttivo e deve studiare la propria strategia. Con Fca mi sono impegnato tanto, è stato un grande lavoro di squadra. Spero di aver dato un contributo al Paese".

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Ci sono casi esteri da prendere come esempi virtuosi? "Siamo i primi ad aver avuto l’epidemia, a parte la Cina che ha una situazione sociale molto diversa. Per questo dobbiamo porci noi il problema. Il Paese si è impegnato moltissimo, ma in molte aree non stiamo facendo abbastanza: non ci sono mascherine per i sanitari, non c’è l’isolamento".

Con una seconda ondata di contagi è inevitabile un altro lockdown nazionale o è possibile lasciare le attività aperte? "Spero che se si riapre, lo si faccia con giudizio e sicurezza. Un altro lockdown vorrebbe dire che sono stati commessi errori, non deve accadere". Si sta pensando di imporre alle aziende investimenti sulla sicurezza: dalle porte automatiche a un ampliamento degli spazi per il distanziamento? "Chiedere di installare tutte queste cose è dura in 15 giorni, ma mettere a disposizione del gel igienizzante è già importante".

Lo smart working, dove possibile, deve diventare l’unica forma di lavoro? "Offre vantaggi e va favorito il più possibile".

L’ipotesi che il virus stia perdendo la sua carica virale è confermata? "Il ceppo italiano non ha messo in evidenza mutazioni in grado di cambiare la contagiosità o la gravità della malattia".

All’estero annunciano di riaprire le scuole. Perché a noi fa tanto paura? "Noi abbiamo un’epidemia che non è sotto controllo".