Coco Trovato, il boss della 'ndrangheta e la battaglia contro il 41 bis

All’ergastolo da 27 anni. Fu arrestato a Milano. Era il boss della "locale" di Lecco. La Cassazione: verificare l’attuale pericolosità

Franco Coco Trovato

Franco Coco Trovato

Milano, 15 giugno 2019 - Al 41 bis ha dedicato anche una tesi di laurea, quella che gli ha consentito di conseguire la Magistrale in Giurisprudenza nel 2017 all’Università di Perugia. Al carcere duro ci sta da anni, dal 1992, quando i carabinieri lo stanarono nella pizzeria «Wall Street» di via Belfiore la sera del 31 agosto: condannato a quattro ergastoli, è attualmente recluso nel penitenziario capitolino di Rebibbia, dopo essere stato in precedenza a Terni. Da tempo, però, il settantaduenne Franco Coco Trovato, boss indiscusso della ’ndrangheta a Lecco e storico alleato del dominus della Comasina Giuseppe «Pepè» Flachi, chiede di poter scontare il resto della pena fuori dal 41-bis. Nell’agosto del 2017, il suo avvocato ha presentato un ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo proprio in relazione al presunto trattamento subìto dal suo assistito a seguito di un periodo di applicazione del carcere duro così prolungato nel tempo. La battaglia sta andando avanti anche nei Tribunali italiani.

Ieri sono state rese note le motivazioni con le quali la Cassazione, lo scorso 24 maggio, ha annullato l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma che ha confermato per Trovato il regime del carcere duro, come stabilito dal decreto di proroga emesso dal Ministero della Giustizia il 21 novembre 2017. In sostanza, la Suprema Corte ha ritenuto che i giudici non abbiano motivato a sufficienza la decisione di lasciare il boss settantaduenne in regime di isolamento, sorvegliato a vista, con un numero contingentato di incontri con i familiari e un regolamento altrettanto restrittivo in materia di beni, soldi e oggetti da tenere in cella. Secondo i giudici del Tribunale di sorveglianza, che si sono richiamati alle note informative della Direzione nazionale antimafia e delle Dda di Milano e Reggio Calabria, il regime detentivo speciale per Trovato è giustificato dal suo inserimento «in una posizione di rilievo nell’ambiente della criminalità organizzata ’ndranghetista riconducibile all’omonimo sodalizio, attivo nell’area lombarda di Lecco, a sua volta collegato alla cosca De Stefano-Tegano di Reggio Calabria, attestata – oltre che dalle sentenze irrevocabili pronunciate – dai reati commessi nell’ambito di tale consorteria criminale». Per l’avvocato del boss, il tema è un altro: «Le emergenze processuali non consentivano di formulare un giudizio di attualità dei collegamenti del ricorrente con l’ambiente ’ndranghetista di provenienza, anche tenuto conto della genericità dei richiami giurisdizionali effettuati nel provvedimento impugnato». Una tesi condivisa dagli ermellini: «Il Tribunale di sorveglianza aveva il dovere di esaminare in maniera più approfondita le risultanze istruttorie e la sopravvenienza, segnalata dalla difesa del ricorrente, di fatti nuovi, presentati come dimostrativi dell’assenza di pericolosità sociale del condannato, escludendo, attraverso una verifica analitica, che gli stessi non consentissero di ritenere venuta meno l’attitudine del condannato a mantenere contatti con l’ambiente criminale esterno». Per la Cassazione, i giudici romani non l’hanno fatto. Conclusione: nuovo esame dell’istanza.