DARIO CRIPPA
Cronaca

Quando il Besanosauro riaffiorò dalle rocce

Dagli scavi al microscopio, la storia di una scoperta che ancora mette i brividi

Il paleontologo Cristiano Dal Sasso

Il paleontologo Cristiano Dal Sasso

Varese - Occorre fare un passo indietro e ripensare a 150 anni di scavi per capire appieno la portata della scoperta. Le rocce che affiorano a nord di Varese presso l’abitato di Besano in Valceresio sono note da secoli per la possibilità di  ricavarne un olio che brucia facilmente e un unguento, chiamato saurolo ma altrove noto come ittiolo, che fino a pochi decenni fa era utilizzato come farmaco contro i reumatismi e le infiammazioni della pelle. Per l’alto contenuto di materia organica e per il loro colore nerastro, quelle rocce stratificate sono conosciute con il nome di scisti bituminosi. Intorno al 1830 si pensò anche di estrarne un gas che poteva essere usato come combustibile per illuminare la città di Milano; il progetto non andò in porto ma servì ad attirare l’attenzione degli studiosi sui fossili contenuti in queste strane rocce. “Il giacimento è così ricco che dopo più di 150 anni di ricerche vengono ancora alla luce nuove specie – precisano gli studiosi del Museo di Milano -. E non solo di piccole dimensioni. Il fossile più famoso è proprio Besanosaurus: il più grande e completo ittiosauro mai rinvenuto in Italia”. Fu scoperto nel sito del Sasso Caldo dai volontari del Gruppo Paleontologico di Besano nella primavera del 1993, durante gli scavi che il Museo di Storia Naturale di Milano conduceva nella località varesina sin dal 1975. Per estrarlo ci vollero mesi di lavoro, in cui lo strato che racchiudeva il fossile fu sezionato e rimosso in 38 grandi lastre di roccia. Per motivi di sicurezza il ritrovamento fu annunciato più tardi, nel novembre del 1993. Il fossile era comunque ancora imprigionato nella roccia, tanto che per vederlo furono necessarie 145 radiografie, realizzate dalla Fondazione Ospedale Maggiore di Milano. Il fossile finì successivamente "sotto i ferrri" nel Laboratorio di Paleontologia del Museo, dove fu sottoposto a un lunghissimo e delicato intervento di estrazione chiamato preparazione. Tre tecnici specializzati, lavorando pazientemente al microscopio, rimossero millimetro per millimetro la matrice rocciosa che ricopriva il grande scheletro fossile. Tutto il lavoro fu condotto manualmente, utilizzando microscalpelli e microsabbiatrici, oltre a sottili aghi e spilli per non danneggiare la superficie delle ossa. Un’operazione che richiese la bellezza di 16.500 ore di lavoro. A causa della forte compressione del sedimento, che inglobava il Besanosauro come in un sandwich, non era possibile estrarre completamente lo scheletro ma si dovevano mettere in luce le ossa da un lato solo, come un bassorilievo. Alla fine tutte le lastre furono riassemblate per realizzare una matrice in silicone, utile per replicare il fossile. L'esemplare esposto al pubblico è dunque un calco dell'originale. Quest'ultimo, sia per motivi di sicurezza sia per il suo notevole peso deve essere conservato nelle Collezioni di Studio del Museo, in condizioni di umidità controllata.

“Il Besanosauro di Milano era una femmina (con un embrione in pancia) – spiega Cristiano Dal Sasso - Lo studio anatomico dettagliato di questo spettacolare fossile ha confermato che il Besanosauro appartiene al gruppo degli shastasauridi. Gli shastasauridi sono ittiosauri abbastanza primitivi tipici del periodo Triassico, poco conosciuti a causa della scarsità dei resti fossili, finora trovati soprattutto in Nord America e in Cina. L'importanza scientifica del nostro Besanosauro sta quindi nella sua eccezionale integrità: non manca una sola delle 201 vertebre di cui si compone la sua  colonna, e in più la presenza di un embrione nel ventre permetterà di studiare l'ontogenesi, cioè come le proporzioni del corpo cambiavano durante lo sviluppo”. A proposito della loro fisiologia, gli ittiosauri erano vivipari (cioè non deponevano uova ma le nutrivano all'nterno del corpo fino al momento del parto). Pur essendosi evoluti per vivere in acqua, gli ittiosauri respiravano con i polmoni per cui dovevano venire spesso in superficie, ma al contrario delle tartarughe marine non deponevano le uova a terra. “Dalla forma del corpo si deduce che il Besanosauro aveva un nuoto anguilliforme, cioè ondeggiava lateralmente, come i pesci, e non dorso-ventralmente, come i fanno i delfini e le balene. Più che per le alte velocità e per le grandi distanze, il suo corpo era strutturato per brevi e improvvisi scatti e possedeva una buona capacità di manovra”.