Cremona, carcere in fiamme. I sindacati: "Segnali inascoltati"

Migliorano le condizioni dell’agente intossicato dopo i disordini. L’allarme del Sappe

Alcuni detenuti giovedì hanno scatenato un incendio nella struttura di Cremona

Alcuni detenuti giovedì hanno scatenato un incendio nella struttura di Cremona

Cremona - ​Un organico da adeguare e problemi sul banco che vanno affrontati subito. Il Sappe, Sindacato autonomo polizia penitenziaria rilancia la sua denuncia sulla difficile situazione del carcere di Cremona, come di altre strutture della Lombardia. "Restano inascoltate le nostre segnalazioni al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di Roma ed al Provveditorato regionale di Milano sulle disfunzioni e sugli inconvenienti che si riflettono sulla sicurezza e sulla operatività delle carceri lombarde e del personale di Polizia Penitenziaria che vi lavora con professionalità, abnegazione e umanità nonostante una significativa carenza di organico" sottolinea il segretario nazionale del Sappe, Donato Capece. Migliorano intanto le condizioni dell’agente della polizia penitenziaria finito in camera iperbarica dopo essere stato intossicato dal fumo degli incendi scatenati da alcuni detenuti giovedì sera che hanno incendiato i materassi delle loro celle e del collega che la sera prima ha invece subito un tentativo di strangolamento.

"Quello che incide di più è la vigilanza aperta, con le celle aperte e i detenuti che girano nella sezione, è questo che non ci permette più di controllarli. Creano problemi spesso tra loro, più volte abbiamo chiesto l’uso del taser nei casi particolari, la Ministra si è detta disponibile, sarebbe uno strumento dissuasivo, che ci consentirebbe di tenere la disciplina. Attualmente di deterrente non abbiamo nulla se non la nostra buona volontà" continua Capece. E sui fatti di Cremona, all’indomani della prima aggressione ad un’agente, mercoledì sera, era intervenuta anche la presidente della commissione speciale carceri del Consiglio regionale della Lombardia Antonella Forattini del Pd sottolineando "che alcune strutture come quella di Cremona (che arriva al 75%) presentano una percentuale più alta della media di detenuti stranieri, su cui serve lavorare con approcci e strumenti mirati, dal rafforzamento dei progetti di mediazione linguistica alla creazione di percorsi ad hoc. Spesso si tratta di persone che fuori dal carcere non hanno famiglia e/o lavoro. È necessario investire su un modello rieducativo inclusivo".