Il caso Djokovic: la lezione della politica a vip e multinazionali

La vicenda del tennista serbo bloccato a Melbourne dimostra che le istituzioni prevalgono su mercati, sport e spettacolo

Sostenitori di Djokovic fuori dall'hotel dove si trova bloccato il campione serbo

Sostenitori di Djokovic fuori dall'hotel dove si trova bloccato il campione serbo

Il campione internazionale Djokovic è bloccato in Australia nell'attesa che si risolva il caso legato al suo arrivo con un'esenzione dal vaccino anti-Covid-19 (l'asso della racchetta ha ripetutamente espresso posizioni no vax). Lunedì i giudici decideranno e se il provvedimento di espulsione verrà confermato il giocatore serbo dovrà tornare a Montecarlo, senza giocare il torneo degli Australian Open.  La vicenda ha coinvolto due diversi soggetti: il promotore del torneo di tennis (un ente governativo che gode di personalità giuridica privata), e lo Stato. Se nel primo caso, il soggetto (di fatto privato) aveva garantito la possibilità di accogliere Djokovic al torneo di tennis in virtù di un certificato che avrebbe “esentato” Djokovic dal vaccino contro il Covid-19 per ragioni mediche, il secondo, ovvero lo Stato, non ha condiviso questo approccio. 

L’Australia ha sviluppato negli anni severissime regole sanitarie per l’ingresso nel Paese, e il tennista non è il primo a scontrarsi contro di esse. Nel 2015, l’attore Johnny Depp aveva provato ad introdurre i suoi due cani nel Paese, dichiarando il falso per non farli sottoporre alla quarantena (obbligatoria per tutti gli animali provenienti dall’estero). La quarantena di cani e gatti è un procedimento molto conosciuto dagli expats ed immigrati che vivono in Australia, e non è certo un’attività piacevole per gli animali da compagnia, che sono costretti a stare per settimane all’interno di una struttura sanitaria, monitorati dal personale governativo fino alla loro uscita.  Per questa ragione, l’attore Johnny Depp aveva provato a evitare questo passaggio, fallendo. Il Ministro dell’Agricoltura aveva richiamato pubblicamente l’attore, ne era nata una vicenda giudiziaria con accuse, sanzioni, processi. 

Il caso Djokovic dimostra che potere e politica si posizionano al di sopra di mercati, sport e spettacolo. Si tratta della perfetta allegoria per descrivere situazioni in cui un soggetto (azienda, personalità, organizzazione) prova a sfidare il potere con sfrontatezza e scarsa strategia e, alla fine, fallisce. Non importa quanti follower si hanno su Instagram, non importa quanti Oscar o premi internazionali possono essere sfoggiati sulla mensola di casa: un qualunque dipendente dell’aeroporto, con o senza la sua firma, potrà bloccare una celebrity all’aeroporto, dopo un viaggio di 23 ore e dire: sorry, you are not allowed to enter in this country. 

Questo non significa che la politica sia inaffrontabile, ma il potere richiede i suoi passaggi, per essere sfidato o gestito. Prendiamo l'esempio delle multinazionali del settore tech: tante di loro, nei primi anni di attività, hanno condotto vere e proprie guerre al potere, evitando il dialogo con le parti sociali o con le istituzioni. Il risultato sono stati provvedimenti ad hoc contro i business, giudiziari e politici, e una certa ostilità generalizzata del potere.  Piano piano, alcune di queste società hanno deciso di dialogare con il potere stesso, con le associazioni di categoria, con i sindacati, con la politica. Cambiare una legge che non viene ritenuta giusta è una battaglia di democrazia, sfidare il potere è un’opportunità per ogni cittadino, organizzazione o azienda, ma occorre realismo poiché chi gestisce il potere, spesso, non è interessato ai soldi. 

Il Primo Ministro Australiano conduce una battaglia politica: far entrare Djokovic in Australia con un visto non valido rappresenterebbe un’ammissione di debolezza politica di fronte ai suoi elettori e di fronte ai suoi subordinati. Inaccettabile e totalmente inefficiente. Per cambiare una legge o influenzare il potere in democrazia restano tre strade: la strada politica (“faccia un partito e si candidi”), la strada di influenza con associazioni di categoria o parti sociali, e la strada dell’autodenuncia (un metodo che potremmo definire “Marco Cappato”). La sfida senza strategia, sostenuta dall’arroganza della visibilità, della celebrità o del denaro, difficilmente troverà spazio. Chi si trova in posizioni apicali politiche ha scelto il potere ai soldi. Il potere alla celebrità. E difficilmente sarà disposto a perdere potere, in cambio di uno o più di questi elementi.