Valanga fatale al passo di Crocedomini, ignorati i divieti

Brescia, la vittima al Maniva non avrebbe potuto usare la motoslitta

Quando i soccorritori hanno estratto  il 35enne dalla neve era ancora vivo, ma in stato di grave e avanzata ipotermia e il ricovero all’ospedale di Bergamo si è rivelato inutile

Quando i soccorritori hanno estratto il 35enne dalla neve era ancora vivo, ma in stato di grave e avanzata ipotermia e il ricovero all’ospedale di Bergamo si è rivelato inutile

Bienno (Brescia), 15 aprile 2018 - «È vero, quella è una zona vietata. Ma chi li ha mai rispettati, quei divieti? Chi li ha mai fatti rispettare?» La morte di Andrea Morandini, il 35enne imprenditore di Bienno deceduto venerdì sera in ospedale a Bergamo dopo essere stato seppellito da una valanga nella zona del Maniva, pone all’attenzione per l’ennesima volta la questione della sicurezza in montagna. Per molti è stata una tragedia annunciata. Andrea, titolare con il padre delle Forge Morandini in alta Valcamonica, è morto a poca distanza dal luogo dove il 13 gennaio 2008, al Dosso dei Galli, una slavina piombò su undici motoslitte uccidendo quattro persone. Da allora Comunità Montana e Comuni della zona hanno imposto lo stop alle motoslitte, ma l’ordinanza è rimasta lettera morta.

Venerdì alle 16 Morandini era partito dal rifugio Bazena con tre amici. Il gruppo era attrezzato. Con sé aveva il dispositivo Arva, le pale a sonda e lo zaino airbag per galleggiare sulla neve. Ma alle 18, quasi a quota 2mila, in località Lavena è scattato l’allarme. Un fronte di duecento metri per quattrocento, pesante e ricco di lastroni di ghiaccio, si è staccato. Le prime tre motoslitte sono state solo lambite, i conducenti si sono salvati. Morandini, l’ultimo a passare, è stato travolto. Gli amici, che ora rischiano un’accusa per omicidio e disastro colposo – in Procura è stata aperta un’inchiesta - hanno scavato disperatamente là dove scorgevano parte della motoslitta sepolta. I tecnici del Soccorso alpino e due eliambulanze si sono precipitati. Ma quando il 35enne è stato estratto, vivo, era già in ipotermia ed è morto poco dopo. «Venerdì c’era un rischio valanga tra il tre il quattro, quasi il massimo – spiega il presidente della delegazione bresciana del Cnsas, Pierangelo Mazzucchelli – La probabilità del distacco, persino spontaneo, erano elevatissime. Per giunta in zona non c’è vegetazione e i pendii sono ripidi».

Per capirese sia stato il passaggio delle motoslitte a innescare la slavina, oppure se il fronte sia partito in autonomia si è svolto un sopralluogo dei tecnici di Aineva, l’ente di Regione Lombardia. Morandini e gli amici hanno sfidato la montagna, forse confidando nei dispositivi che per legge chi fa fuoripista deve portare con sé. Anche lo zaino airbag non è servito: «Quel salvagente funziona solo con la neve farinosa – sottolinea Mazzucchelli - Per una valanga come quella di venerdì sarebbe servita una cassaforte».