Brescia, a tutto stalking: se il quartiere è covo di serpi

Alcuni vicini si coalizzano contro due negozianti per i parcheggi: anni di insulti e angherie varie

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Brescia, 20 settembre 2020 - Lo stalking? A volte non è una faccenda a due, ma di quartiere. Cronache marziane dal tribunale di Brescia, dove capita che a processo ci siano sei imputati, tutti vicini di casa a Lumezzane, nei guai per atti persecutori in concorso nei confronti di padre e figlio, di 74 e 47 anni, a loro volta residenti nella medesima via del paese valgobbino. Alla sbarra, davanti al giudice Marco Vommaro, ci sono tre uomini e tre donne, tra cui marito e moglie, età media tra i 50 e i 60 anni. E persino due ultraottantenni, una signora classe 1932 e un compaesano del 1939.

Il gruppo è accusato di avere tra il marzo 2015 e il marzo 2017 ripetutamente molestato i dirimpettai "offendendoli, ingiuriandoli, danneggiando la loro proprietà, minacciandoli di morte, creando disturbo durante la loro attività lavorativa". E ingenerando loro ansia, stress (tra cui depressione) e timori per la propria incolumità tali da farli vivere ormai segregati. In pratica quattro famiglie delle sei che vivono nella strada in questione si fanno la guerra.

Una guerra combattuta a suon di provocazioni al limite dell’incredibile, di dispetti (tuttora in essere), chiamate continue alla polizia locale e ai carabinieri, e denunce reciproche. Padre e figlio, titolari di un’attività commerciale, presero casa accanto al loro negozio, avviato da tempo, nel 2009. Con i vicini pare non sia stato amore a prima vista. La situazione è però diventata ingestibile dal 2014, quando gli screzi reciproci hanno iniziato a montare e a virare in faida collettiva. Le parti offese hanno denunciato finestre rotte, pezzi di catrame lanciati dentro casa, sparizione di oggetti e vasi dal giardino, con la signora ottantottenne a far da vedetta sul balcone per permettere i raid.

"Esce uno, gli altri lo sentono, arrivano pure gli altri e giù che partono insulti", ha raccontato in aula il figlio. Gli epiteti "mafiosi", "terroni, venite fuori se avete il coraggio" sono gli unici riferibili. Quale sia la miccia di tanto odio non è chiaro, ma pare che il nodo del contendere sia un posteggio sulla pubblica via che le presunte vittime, i commercianti, ritengono di proprietà, dunque a disposizione della clientela. Mentre gli imputati la vedono diversamente (sulla vicenda è pendente anche un contenzioso): per colpa di quel posteggio sempre occupato, l’accesso agli altri parcheggi diventa difficoltoso, lamentano gli imputati. Ai quali pare non siano state risparmiate ritorsioni: uova sulle auto in sosta, lanci in strada di oggetti, abbandono di immondizia e di escrementi sulla pubblica via, specchietti montati in posti strategici per controllare nelle altrui proprietà.