Giallo di Marcheno, gli esperti: "Bozzoli non finì nel forno"

Gli esperti al processo per omicidio contro il nipote dell’imprenditore sparito dalla fonderia. Per i pm fu portato via con l’auto

I periti Cristina Cattaneo e Cesare Cibaldi al processo contro Giacomo Bozzoli,

I periti Cristina Cattaneo e Cesare Cibaldi al processo contro Giacomo Bozzoli,

Il caso della fonderia dei misteri di Marcheno, da cui la sera dell’8 ottobre 2015 sparì uno dei titolari, Mario Bozzoli, è finita sotto l’attento esame anche di Cristina Cattaneo. L’anatomopatologa più famosa d’Italia, che si è occupata di tutti i casi di cronaca nera più eclatanti, da Yara Gambirasio a Elisa Claps, con 17 colleghi e gli esperti del Ris per due anni e mezzo ha cercato tracce di resti umani in ogni anfratto di quella fabbrica nascosta tra le officine, le armerie e le fabbriche di metalli della Valtrompia. Dopo avere setacciato cento tonnellate di materiale, svuotato e grattato i forni, fatto tamponi nei filtri di aspirazione, smontato mulini e vagliato la stanza delle scorie, non ha potuto che concludere: "Nessun elemento riconducibile a organismo umano è stato trovato", ha spiegato la professoressa ieri in Assise, dove è in corso il processo per omicidio premeditato e occultamento di cadavere a carico di Giacomo, nipote dell’imprenditore scomparso.

Cuore dell’udienza di ieri, la sesta - presente in aula il procuratore generale Guido Rispoli - la testimonianza degli esperti che hanno appunto cercato invano tracce a sostegno dell’ipotesi investigativa assunta inizialmente, ovvero che Bozzoli fosse stato fatto sparire nei forni. I conti però, alla luce delle consulenze, non tornano. Mentre torna, per l’accusa, che il cadavere sia stato portato all’esterno dalla Porsche Cayenne dell’imputato (anche se sull’auto non è stato rinvenuto né sangue, né Dna dello scomparso, ndr ). "Nessun corpo è bruciato in quella fonderia – ha chiarito l’ingegnere metallurgico Cesare Cibaldi -. Nel forno piccolo era fisicamente impossibile infilarcelo, in quello grande sarebbe stato comunque problematico, e in ogni caso mettere un corpo a 900 gradi avrebbe generato un’esplosione con spargimento di 540 metri cubi di gas e di un forte odore di carne bruciata persistente per settimane". Il presidente della Corte, Roberto Spanò, ha fatto molte domande riguardo alla fumata anomala sprigionata da uno dei forni quella sera intorno alle 19,20, proprio in concomitanza con l’orario della sparizione di Mario, che fu visto dagli operai dirigersi agli spogliatoi per cambiarsi e tornare a casa. I suoi vestiti puliti però sono rimasti al loro posto. "Quel fumo fu generato dall’inserimento nel forno di una tornitura bagnata, l’umidità ha innescato una fiammata persistente", ha sgomberato il campo da dubbi Cibaldi.

«La scelta di distruggere un corpo bruciandolo in un forno è tra le più difficili – ha continuato Cattaneo –. Per farlo servono da una a quattro ore, il processo va alimentato e per fare scomparire ogni traccia la temperatura dovrebbe essere di 12mila gradi. Anche con una cremazione eccellente, sui 1.200 gradi, avremmo un prodotto di 3-4 chili di scorie scheletriche. Frammenti si trovano sempre. E qui non ce n’erano". L’indagine ha contato anche sulla consulenza dell’archeologo forense Dominique Salsarola, che ha rastrellato le superfici verdi nei dintorni della fonderia con cani da cadavere. "Abbiamo scavato 34 aree per verificare la presenza di un corpo interrato, e in 17 sono state trovate anomalie. Ma le ricerche hanno portato solo al recupero di una carcassa di ovino".