Il caso Mazzotti e le radici della ’ndrangheta

La fine delle indagini a 47 anni dal rapimento e dalla morte della giovane rivelano il ruolo della criminalità organizzata nel territorio

Cristina Mazzotti

Cristina Mazzotti

EUPILIO (Como)

Ha sollevato grande interesse e ricordi pieni di emozioni l’annuncio dato dalla Procura di Milano sulla conclusione delle indagini per il rapimento e la morte di Cristina Mazzotti nonché per l’avviso di garanzia ai quattro presenti sequestratori materiali della ragazza, avvenuto alla una e 30 di notte del primo giugno 1975. Nonostante siano trascorsi 47 anni la storia di Cristina Mazzotti, ragazza milanese che quando poteva era a Erba e a Eupilio dove trascorreva gran parte delle vacanze, è ancora di dolorosa attualità. Leggendo i nomi dei presunti rapitori emergono considerazioni davvero preoccupanti sul ruolo che ha avuto e probabilmente possiede ancora la ‘ndrangheta calabrese nella criminalità di Brianza e Lombardia. I quattro non sono semplici manovali ma “gente” esperta, dei duri, degli spietati e anche ben organizzati nonostante nel 1975 fossero ancora molto giovani. Tra questi figura Giuseppe Morabito di Africo Nuovo, però residente a Tradate (Varese) che fu considerato il numero uno della ‘ndrangheta, secondo solo a Bernardo Provenzano capo di Cosa Nostra. Ci sono poi Demetrio Latella, Antonio, Talia e Giuseppe Calabrò, un altro pezzo grosso, detto “’u Dutturicchio”. Quella volta del sequestro però, pur avendo ricevuto ordini e indicazioni dai capi in Calabria, i presunti sequestratori ebbero però il semplice ruolo di rapitori. Si comportarono in maniera dura, spietata, feroce come hanno raccontato Paolo Galli, il “ragazzo” che con la sua Mini Minor stava accompagnando a casa, in villa Mazzotti a Galliano, Cristina e la sua amica del cuore Emanuela Luisari. Anche la stessa Emanuela conferma la spietatezza e la malvagità dei sequestratori, quella notte, alle 1,30 sulla Mini Minor. Emanuela racconta che aveva trascorso la sera festeggiando con gli amici la promozione al liceo classico dove aveva superato la seconda. All’una decisero di tornare a casa e Carlo Galli le fece salire sulla sua Mini Minor. A poche centinaia di metri dalla villa Mazzotti a Galliano di Eupilio, l’auto fu bloccata da una Giulia che li aveva sorpassati e si era messa di traverso. Da una Fiat 125 ferma sulla sinistra scesero alcuni individui a viso scoperto che imposero al ragazzo e a Cristina di mettersi sul sedile posteriore assieme a lei. Un bandito si mise alla guida e l’auto partì. L’ordine era di stare accucciati ma Galli ogni tanto alzava la testa e il passeggero lo colpiva con il calcio della pistola. Il percorso durò quasi un’ora. La Mini fu bloccata in un bosco (era quello di Tradate, come emerse poi dalle indagini). C’era la solita 125. Uno dei banditi chiese: "Chi è Cristina Mazzotti". Cristina rispose. "Sono io". La prelevarono brutalmente, le misero una federa sul capo e la buttarono nella 125. Fu l’ultima volta che Carlo ed Emanuela videro “Cri Cri”.

F.Ma.