Green Hill, un lager. La Cassazione picchia duro: "Eutanasia ai cani malati"

Si chiude il processo che ha visto condannati in via definitiva il direttore dell’allevamento Roberto Bravi, il veterinario Renzo Graziosi e il cogestore Ghislaine Rondot

Uno dei beagle liberati da Green Hill

Uno dei beagle liberati da Green Hill

Brescia, 7 marzo 2018 -  Nell’allevamento Green Hill di Montichiari, nel Bresciano, oltre 2.600 cani beagle sono stati sottoposti a trattamenti sfociati in «comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche» e, in alcuni casi, gli animali sono stati «sottoposti a eutanasia» per «patologie modeste e dopo periodi di cura troppo brevi». Così la Cassazione chiude il processo che ha visto condannati in via definitiva a pene comprese tra un anno e un anno e mezzo di reclusione il direttore dell’allevamento Roberto Bravi, il veterinario Renzo Graziosi e Ghislaine Rondot, cogestore di Green Hill.

Nelle motivazioni, depositate ieri, della sentenza pronunciata lo scorso 3 ottobre, la terza sezione penale della Suprema Corte condivide le conclusioni dei giudici d’appello di Brescia, secondo cui i 2.639 beagle detenuti nell’allevamento sono stati privati dei loro «pattern comportamentali», e sottoposti a pratiche «insopportabili» quali la «tatuatura con aghi», vietata dalla legge, o la rottura dei vasi sanguigni dovuta a unghie tagliate fino alla base, causando anche la morte di alcuni cani. Inammissibili i ricorsi degli imputati «il cui dolo emerge con chiarezza».