Assolto per gelosia, il pm ricorre: non è folle

Brescia, massacrò a coltellate la moglie perché sospettava il tradimento. L’accusa sconfessa il proprio perito e chiede un nuovo processo

La tragedia avvenne nell'ottobre del 2019

La tragedia avvenne nell'ottobre del 2019

Brescia - «Una gelosia delirante", per mezzo di questa formula era stata definita la sua incapacità di rispondere di un reato gravissimo. Lo scorso dicembre Antonio Gozzini era stato assolto per difetto di imputabilità dovuto a un vizio totale di mente. Undici mesi dopo il caso dell’ex docente di Fisica che il 4 ottobre 2019 uccise a coltellate la moglie Cristina Maioli, 62 anni, nell’appartamento di via Lombroso a Brescia, tornerà in aula, stavolta davanti ai giudici della Corte d’appello. Il secondo processo inizierà il 5 novembre. Il pm Claudia Passalacqua, sconfessando il suo stesso consulente di parte, lo psichiatra Sergio Monchieri, convinto dell’insanità mentale dell’imputato, aveva chiesto l’ergastolo per omicidio premeditato aggravato dalla crudeltà e del rapporto di parentela con la vittima. E nelle scorse settimane ha impugnato la sentenza di assoluzione. Per l’accusa l’ottantunenne era lucido quando nel cuore della notte svegliò la sua seconda moglie, professoressa Lettaratura italiana all’Itis e prossima al a pensione, e la massacrò, tagliandole la gola, il torace e l’inguine. Il movente per il pm era quello di liberarsi dalla pressione della consorte che spingeva perché si facesse curare una vecchia depressione mai risolta. Per i consulenti di accusa e difesa, concordi nella lettura della psiche dell’uomo, ad armarlo non fu invece tanto la depressione quanto "la marea montante di un delirio di gelosia che lo aveva fatto finire in un tunnel di malessere di cui non aveva parlato con nessuno. Rielaborando in modo distorto eventi di 20 anni prima, si era convinto che la moglie lo avesse sempre tradito".

E i giudici della prima Corte d’Assise – presidente Roberto Spanò – si erano convinti: "Deve essere chiara la profonda differenza tra la gelosia delirante quale sintomo di una patologia psichiatrica, dalla gelosia come stato d’animo passionale. Paragonare le due condizioni è un errore enorme: si crea un parallelismo tra una persona che ha un disturbo di natura psicotica con una che fa una scelta di agire. Gozzini non poteva scegliere", si legge nelle motivazioni. "La Corte non intende riservare al Gozzini un salvacondotto o un trattamento indulgente a fronte della perpetrazione di un’azione orribile, ma semplicemente tener conto di un elementare principio di civiltà giuridica, quello della funzione rieducativa della pena, secondo cui non può esservi punizione laddove l’infermità mentale abbia obnubilato nell’autore del delitto la capacità di comprendere il significato del proprio comportamento", ha scritto ancora il presidente Spanò. Che a fronte della ritenuta pericolosità sociale dell’imputato, ne ha disposto il trasferimento in Rems, una delle strutture che hanno sostituito i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari. Una visione del caso che, tuttavia, non è condivisa dal pubblico ministero. Che ha chiesto una nuova sentenza.