Il dolore infinito dell’amica di Yara: "Lei non c’è più, conta solo questo"

L’ultimo sms, poi quattro anni di silenzio. Fino all’arresto del muratore di Gabriele Moroni

Yara Gambirasio (Ansa)

Yara Gambirasio (Ansa)

Bergamo, 13 luglio 2014 - «Non mi interessa chi è stato. So solo che Yara non c’è più». E gli occhi di Martina, quella sera, s’inumidivano davanti al televisore. Martina e Yara, storia di un’amicizia. Martina ha terminato la quarta classe all’istituto aeronautico Antonio Locatelli di Bergamo. Vive a Sant’Omobono Terme, nel cuore della Valle Imagna. I genitori l’accompagnavano a Brembate di Sopra due o tre volte la settimana perché si allenasse con Yara nella squadra di ginnastica ritmica.  Martina e quell’ultimo messaggio ricevuto da Yara la sera del 26 novembre del 2010. «A che ora ci vediamo giù alla gara domenica?», scrive Martina alle 18.25. Yara risponde alle 18.44: «Dobbiamo essere lì per le 8». Sta uscendo dal centro sportivo di via Bruno Locatelli, ha portato il suo stereo alle altre ginnaste perché il loro funziona male. «Ok, grazie, ciao», le risponde l’amica alle 18.49. A quell’ora il cellulare di Yara è già ammutolito. È muto per sempre.

Martina partecipa alla gara di domenica. La notizia della scomparsa della piccola Gambirasio è appena filtrata, i giornali l’accennano con prudenza, le televisioni non se ne sono ancora impossessate. Daniela, la mamma di Martina, lavora nel grande orto a terrazzo. «No, Martina non ha mai parlato di Yara. Non ne parla e noi rispettiamo il suo atteggiamento. Si porta il ricordo dentro. I giovani di oggi sono più maturi, sanno andare oltre». Anche oltre la tragedia, oltre il dolore. Martina ha commentato la notizia del fermo di Massimo Giuseppe Bossetti? «Non era a casa. Subito dopo è andata a Pesaro con la Maura, la mamma di Yara, per la gara dedicata a sua figlia».

Le mani non si fermano mai, strappano l’erba, affastellano i rametti troncati dalla pioggia e dal vento. Daniela è parca di parole come tutta la gente della Valle Imagna. Quando le viene chiesto se la figlia saprebbe odiare, respinge la domanda quasi con orrore. «Quale odio? Martina non ne sarebbe capace. Per lei Yara è lì, nel suo cuore. I ricordi li tiene per sé». Nel cuore, nei ricordi, nella fotografia che Martina aveva fatto ingrandire per appenderla in camera. Yara era sparita da pochi giorni, si oscillava ancora nella nebulosa indistinta fra speranza e disperazione. Eppure, per l’amica del cuore, Yara era già un ricordo da preservare. Come per un presentimento che non si sarebbero mai più riviste. Che un colpo a tradimento aveva mandato in frantumi il piccolo mondo dei sogni, dei segreti dolci e buoni. Quando Yara ripeteva a Martina: «Se diventiamo campionesse giriamo il mondo». Era il mondo di Yara, Martina, Chiara e Anna. I viaggi sul bus. Johnny Depp, bello e per nulla maledetto. Le canzoni di Laura Pausini. La palestra di Brembate, un pianeta speciale. 

Le indagini. Il clamore dell’arresto. «Ma Yara non c’è più», sussurra Martina. L’inchiesta. Sono numerosi i video sotto la lente degli investigatori, che sono però certi di avere individuato il furgone Iveco Daily di Bossetti nell’automezzo ripreso alle 18.01 del 26 novembre 2010 dalla telecamera di un distributore di benzina, davanti alla palestra di Yara. Venerdì il colonnello Giampietro Lago, comandante del Ris di Parma, ha incontrato a Bergamo il pm Letizia Ruggeri e il colonnello Michele Lorusso, che comanda il Ros di Brescia. Oggi è il 13 luglio. Un mese fa la svolta. È il 13 giugno quando, dai laboratori dell’università di Pavia, risulta il «match» fra il dna di Ester Arzuffi, la madre di Bossetti, e quello che «Ignoto 1» ha impresso sugli indumenti di Yara.

gabriele.moroni@ilgiorno.net