La tuta per andare su Marte è Made in Curno

L'equipaggiamento è stato testato nel deserto dello Utah, il luogo sulla terra più simile al Pianeta Rosso

La stazione di ricerca nello Utah

La stazione di ricerca nello Utah

 

Curno (Bergamo), 25 aprile 2022 - Celebrato in tutto il mondo, stavolta l’Italian style si è davvero superato, conquistando addirittura il cosmo grazie alla prima tuta spaziale interamente Made in Italy testata nel deserto dello Utah, nella stazione di ricerca MDRS (Mars Desert Research Station) il luogo più simile sulla Terra al Pianeta Rosso. È qui che per quasi due settimane, dal 10 al 23 di aprile, un equipaggio composto da sei astronauti ha compiuto esperimenti testando soprattutto la resistenza e la praticità della tuta realizzata da Mars Society, l’azienda di Curno che ha realizzato il dispositivo in partnership con Radici Group e la supervisione dell’Agenzia Spaziale Italiana.

In particolare l’equipaggio ha compiuto una serie di attività ed esperimenti sia all’interno che all’esterno della struttura, simulando la vita e il lavoro in un ambiente ostile per testare l’equipaggiamento in condizioni di stress. Sono state verificate la stabilità e l’ergonomia della tuta che gli astronauti hanno dovuto indossare 24 ore su 24 durante i dieci giorni dell’esperimento, sottoposti al costante monitoraggio dei sensori che hanno rilevato la loro temperatura e i loro parametri vitali. Per risolvere i problemi legati alla microgravità e alle radiazioni, sarà necessario proseguire i test nello spazio, in orbita attorno alla Terra, ma i primi risultati sono incoraggianti.

"Non sarà facile mettere insieme tutti i risultati di questi ultimi giorni, tra esperienze personali e ricerca scientifica dei nostri numerosi esperimenti, ma sarà il mio obiettivo per il futuro: imparare il più possibile, costruire qualcosa di nuovo, e andare avanti – spiega Paolo Guardabasso, ingegnere aerospaziale di Dome Team selezionato insieme ad altri quattro italiani, un canadese e un francese – Durante la nostra permanenza abbiamo rispettato un protocollo ben definito in base al quale, ad esempio, non siamo mai usciti dalla stazione senza tuta e zaino, le comunicazioni con l’esterno rispettavano il ritardo nelle comunicazioni con Marte, i pasti erano a base di cibi liofilizzati a lunga conservazione".

Per mettere a punto la tuta spaziale, sono state sfruttate anche alcune competenze acquisite durante la pandemia per realizzare indumenti di protezione individuale. La tuta spaziale di simulazione analoga, ribattezzata con l’acronimo BG-SUIT, è dotata di diversi sensori in grado di riportare in tempo reale le condizioni di salute dell’equipaggio e misurare i valori dell’ambiente circostante. La partnership industriale con Radici Group ha permesso di sviluppare una tuta destinata alle attività extraveicolari da parte degli equipaggi impegnati nelle missioni in superficie.

Uno sviluppo tecnologico che prelude a importanti varianti applicative per impieghi in attività di natura industriale, biomedica e in ogni ambiente dove necessiti un elevato livello di protezione. Nel corso della missione nel deserto dello Utah sono stati testati anche un dispositivo di purificazione dell’aria nella stazione, uno strumento di stampa 3D per la fabbricazione di componenti in loco e un drone per voli di mappatura e ispezione, simulando anche la funzione di supporto in una missione di ricerca e soccorso per astronauti in difficoltà.