ALESSANDRO STELLA
Cronaca

"Dopo il ritiro faccio solo il tifoso. Però questo sport merita di più"

Vent’anni di carriera passati interamente con Milano vincendo dieci scudetti e altrettante Coppe Italia "Il Mondiale 2011 poteva essere il punto d’inizio, invece abbiamo ancora poche squadre e scarsa attenzione".

Quasi vent’anni di carriera passati interamente con la maglia del Milano Quanta. Prima canterano, poi capitano. Dieci Scudetti (l’ultimo arrivato poche settimane fa contro Asiago), dieci Coppe Italia e altri svariati titoli vinti. Emanuele Banchero, milanese classe 1989, colonna dell’hockey inline, di Milano e della Nazionale, ha annunciato da poco il ritiro. E ora si racconta.

Partiamo dalla finale vinta contro Asiago. Che serie è stata? "Era da tempo che non soffrivamo così tanto. Quest’anno, al di là delle vittorie, è stata una stagione piena di alti e bassi perché non siamo quasi mai riusciti ad allenarci tutti insieme. Asiago, diretta dal nostro ex allenatore Luca Rigoni, era molto preparata e composta da giocatori molto più giovani di noi. Questo ci ha messo in difficoltà. E poi giocare in trasferta è stato difficile per via delle dimensioni del loro campo. Ma siamo riusciti a cavarcela con l’esperienza e siamo molto contenti della vittoria".

Quanto è difficile lavorare e poi praticare questo sport ad alti livelli?

"Quasi tutti noi lavoriamo: chi è impiegato e chi possiede proprie attività. Dalla mattina alla sera siamo sempre impegnati. Facciamo però volentieri tanti sacrifici per giocare e portare avanti la nostra comune passione. Certo, poi questi sacrifici si estendono alla famiglia. Io ho due figli e la mia compagna deve sopportare le mie lunghe assenze tra lavoro, allenamenti e trasferte nel weekend. Bisogna rinunciare a tante cose".

Al termine della finale ha annunciato il ritiro. È stata una scelta improvvisa?

"Avevo già deciso da un anno di ritirarmi. Ma non volevo lasciare con una finale persa (contro Vicenza nel 2023, ndr). I miei figli crescono, hanno bisogno di più della mia presenza e del mio supporto. Poi a marzo di quest’anno è venuto a mancare mio padre, che è stato il mio primo grande tifoso e sono cambiate ulteriormente le dinamiche familiari".

Un bilancio della carriera.

"Io mi considero una bandiera di Milano, come poche ce ne sono in generale nello sport. Ho iniziato con loro e ho finito con loro. Sono stato capitano e ho vinto tanto, anche se ho il rimpianto di non aver conquistato la Champions League e il Mondiale con la Nazionale. Al Quanta sono cresciuto sia come giocatore che come uomo".

Cosa pensa della difficile situazione attuale dell’hockey inline in Italia?

"Mi ricordo che dopo il mio primo Mondiale nel 2011, un dirigente dell’epoca disse che quello sarebbe stato il punto d’inizio di questo sport. Ma non è stato così: ora ci troviamo con pochissime squadre iscritte ai campionati italiani e un livello generale sempre più basso. Mi spiace soprattutto quando penso al nostro vecchio presidente Umberto Quintavalle, che fino a prima di morire ha lottato invano per migliorare il mondo dell’hockey inline. Si dovrebbe ripartire dai settori giovanili ma non è facile. Inoltre l’inline soffre il confronto con l’hockey su pista".