
di Michele Andreucci
Ha legato il suo nome alla Bergamasca per l’inchiesta sul delitto di Yara Gambirasio. Martedì alle 18,30, invece, Cristina Cattaneo, medico e antropologo, professore ordinario di Medicina Legale all’Università degli Studi di Milano e direttore del Labanof, il laboratorio di antropologia e odontologia forense della stessa università, interverrà in streaming sul sito di “Molte Fedi sotto lo stesso cielo”, la rassegna online promossa dalle Acli di Bergamo che quest’anno ha per tema “In mare aperto - Abitare l’incertezza, ripensare il futuro”.
Consulente medico legale per il Commissario straordinario per le persone scomparse del ministero dell’Interno, Cristina Cattaneo ha pubblicato due libri, entrambi per Raffaello Cortina editore: “Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo” e “Corpi scheletri e delitti. Le storie del Labanof”. Dopo essere salita alla ribalta delle cronache soprattutto per i casi giudiziari più eclatanti (oltre a quello di Yara, quelli relativa a Elisa Claps, Stefano Cucchi e Serena Mollicone), la sua attività è ora associata anche al mastodontico di dare un volto ai disperati che perdono la vita nel Mediterraneo. A “molte Fedi” parlerà anche dei suoi libri. “Naufraghi senza volto” racconta i suoi tre mesi nella base Nato di Melilli per identificare una parte dei 1.400 migranti morti nel Mediterraneo il 3 ottobre 2013 e il 18 aprile 2015. Mettendo insieme le tragedie dei barconi, è riuscita a ipotizzare almeno 30mila vittime. Per risalire all’identità degli scompars insieme al suo staff focalizza l’attenzione su ogni minimo dettaglio del corpo (cicatrici, tatuaggi) e sugli oggetti rinvenuti addosso ai morti. "Dare un nome ai morti prima di seppellirli è un dovere di civiltà che si assolve soprattutto per i vivi: ci sono i vivi dietro i morti, questo messaggio ancora non passa", sostiene da sempre Cattaneo.