"Io come Olindo". E Bossetti scrive un libro

Condannato all’ergastolo per il delitto di Yara Gambirasio: sono innocente, ecco il mio memoriale

Massimo Bossetti (Foto Facebook)

Massimo Bossetti (Foto Facebook)

Bergamo, 5 settembre 2019 - Ha iniziato a scrivere nell’ottobre dello scorso anno, nel carcere di Bergamo, all’indomani del pronunciamento della Cassazione che aveva reso definitiva la condanna all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio. Ha proseguito dopo il trasferimento a Bollate, lo scorso maggio. Massimo Bossetti scrive ogni giorno, per più ore giorno, riempiendo con la sua scrittura, spesso a stampatello, decine e decine di fogli protocollo.

E’ un memoriale, che parte dal giorno dell’arresto, il 14 giugno del 2014, mentre era al lavoro in un cantiere a Seriate, con frequenti flash-back agli anni felici che il muratore aveva vissuto nella casa di Mapello, accanto alla moglie Marita e ai tre figli. L'intenzione è quella di farne un libro, anzi un libro scritto con il suo storico difensore, l’avvocato Claudio Salvagni. «L’idea - dice Salvagni - è quella di un libro a quattro mani, alternandoci un capitolo io e uno Massimo. In quello che ha scritto finora Massimo ha messo non solo i fatti, ma anche i suoi sentimenti, le sue emozioni, le speranze deluse, la rabbia che prova, da innocente. Da parte mia sarà il racconto di una battaglia che, nelle fasi iniziali, non era neppure lontanamente prevedibile. Si è rivelata come qualcosa di immenso, una battaglia contro il sistema che si è chiuso a riccio e non ha consentito di esercitare appieno la difesa. Ma non sarà una riproposizione di atti giudiziarie di ricorsi. Nel libro ci sarà anche la mia storia personale, ci saranno le mie emozioni private, intime, per quello che è stato un lavoro incredibile e nello stesso tempo una grande esperienza umana». Il penalista si rivolge al mondo dell’editoria: «Per la casa editrice che decidesse di pubblicare il libro sarebbe una scelta di civiltà e non solo una scelta editoriale».

Massimo Bossetti ha indirizzato una lunga (sette facciate) lettera a Marco Oliva, conduttore di ‘Iceberg’ sull’emittente Telelombardia, firmata ‘Massimo Bossetti, prigioniero di Stato’. «Voglio - è una delle frasi - fare un appello pubblico a chi di dovere, a chi custodisce i reperti del mio caso: chiedo che venga garantita la massima custodia e conservazione, che non vengano distrutti come accaduto in altri casi, affinché un domani la mia difesa possa fare un’ulteriore accurata indagine. Il timore che possano andare irrimediabilmente distrutti è alto, basti vedere quanto è avvenuto nel caso di Rosa e Olindo (i coniugi Romano, condannati al carcere a vita per la strage di Erba)». «Lo ripeto e lo ribadirò finché ne avrò le forze, non sono io la persona che ha ucciso la piccola Yara, non ho minimamente idea di cosa potrebbe essere successo».   Il defenuto, l’ergastolano, il bandito che scrivono. Altri come Bossetti. In scena nella Milano violenta negli anni Settanta, Vincenzo Andraous ha scoperto nei “braccetti” del carcere di Voghera una vocazione di delicato poeta. Poi l’impegno di saggista, la fede, il volontariato. Si sono raccontati nei libri Luciano De Maria (rapina di via Osoppo a Milano), Angelo Epaminonda il Tebano, Saverio Morabito, pentito di ‘ndrangheta. Esordì nella letteratura nel 1963 con “La traduzione”. Silvano Ceccherini, livornese, basava quel crudo romanzo sulla sua vita di vagabondo, anarchico, rapinatore. Famoso il caso di Caryl Chessman. Condannato alla camera a gas nello Stato della California per rapina, sequestro di persona e violenza sessuale, riuscì a rinviare l’esecuzione per otto volte in dodici anni. Scrisse quattro libri di successo prima di essere giustiziato, il 2 maggio 1960.