Yara: Bossetti, ultima chiamata sul Dna

Bergamo, l’Assise dovrà pronunciarsi sull’esame di 98 reperti: tracce genetiche, abiti e scarpe che Yara indossava la sera dell’omicidio

Yara Gambirasio

Yara Gambirasio

Bergamo - Svolta non definitiva ma importante nella lunga vicenda dei reperti di Yara Gambirasio. Il 19 maggio la questione sarà nuovamente davanti alla Corte d’Assise di Bergamo. Il collegio, presieduto da Donatella Nava, dovrà pronunciarsi sull’istanza della difesa di Massimo Bossetti (condannato definitivamente all’ergastolo per l’omicidio della tredicenne di Brembate di Sopra) di esaminare 98 reperti. Fra questi figurano 54 campioni di Dna, indumenti, biancheria, scarpe che Yara indossava il 26 novembre del 2010, suo ultimo giorno di vita, prima di essere ghermita all’uscita dal centro sportivo per essere poi abbandonata a morire di ferite, freddo, stenti in un campo di Chignolo d’Isola.

Il 12 gennaio di quest’anno la Cassazione ha accolto i ricorsi dei legali di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, e annullato con rinvio le due ordinanze con cui l’Assise di Bergamo aveva respinto come inammissibili le istanze dei difensori di esaminare i reperti. Rinvio all’Assise bergamasca per una nuova discussione. In un passaggio importante la prima sezione penale della Suprema Corte osservava come dal provvedimento di confisca emesso dai giudici dell’Assise "era emersa l’esistenza di provette contenenti 54 campioni di Dna estratti dagli slip (dove era stata trovata la traccia di Ignoto 1 attribuita a Bossetti - ndr) e dai legging della vittima, nonostante la sentenza della Cassazione che aveva confermato la condanna di Bossetti avesse dato atto del totale esaurimento del materiale genetico".

Era stata una delle tante date di una sorta corsa a ostacoli, preceduta da altre, tutte a punteggiare una vicenda lunga come una guerra punica. Il 27 novembre del 2019 la Corte d’Assise di Bergamo aveva accolto l’istanza di Salvagni e Camporini e autorizzato anche l’analisi del Dna dei vecchi campioni. Il 2 dicembre il presidente della Corte d’Assise, Giovanni Petillo, era intervenuto per precisare che quanto autorizzato doveva essere inteso come una "ricognizione" e quindi non erano consentiti esami invasivi dei reperti. Il 9 dicembre gli avvocati di Bossetti avevano chiesto quali fossero le modalità e la tempistica per una operazione che era stata comunque autorizzata. Il 15 gennaio del 2020 la Corte d’Assise bergamasca, su richiesta del pm Letizia Ruggeri (che aveva sostenuto l’accusa contro Bossetti nel processo di primo grado), aveva disposto la confisca di tutti i reperti che uscivano così dagli atti del processo (sono dello Stato e restano conservati).

Il 4 marzo e il 30 aprile nuove istanze della difesa per conoscere modi e tempi dell’esame. Il 26 maggio l’Assise aveva respinto la richiesta come inammissibile a causa della confisca. Nuova istanza della difesa il 10 giugno e nuova ripulsa venti giorni dopo. Doppio ricorso della difesa alla Cassazione. Quello che è stato accolto nel gennaio di quest’anno. Per il muratore di Mapello, detenuto nel carcere di Bollate, è il riannodarsi di un tenue filo di speranza. Terminati i tre possibili gradi di giudizio, ha visto chiudersi la quarta porta sulla sua condanna a settembre 2019, quando la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha respinto il ricorso contro l’ergastolo, suggellato dalla sentenza della Cassazione il 12 ottobre del 2018. Da allora non ha davanti a sé che l’unica, ardua strada della revisione del processo.