Daniele Potenzoni scomparso in gita: il suo infermiere finisce a processo

Era malato, doveva essere sorvegliato

Francesco Potenzoni, padre di Daniele

Francesco Potenzoni, padre di Daniele

Pantigliate (Milano), 10 marzo 2017 - A quasi due anni dalla scomparsa di Daniele Potenzoni, il gup Elvira Tamburelli ha accolto la richiesta del pm Vincenzo Barba: rinvio a giudizio per l’infermiere dell’ospedale di Melegnano che stava accompagnando il gruppo dei disabili di cui faceva parte anche Daniele. L’accusa è di abbandono di incapace. La prima udienza del processo è stata fissata per il 16 maggio. Si apre così un nuovo capitolo nella vicenda del 38enne autistico che, mentre si stava recando in udienza dal Papa con un gruppo organizzato, è sparito nel nulla nella zona della stazione Roma Termini della metropolitana. Era la mattina del 10 giugno 2015. Da allora la storia di Daniele sta tenendo con il fiato sospeso tutta Italia. Mesi di ricerche incessanti, portate avanti soprattutto da volontari che hanno tappezzato la Capitale di volantini con le foto del ragazzo, com’era quando è scomparso e come potrebbe presumibilmente essere ora.

Nulla è stato lasciato intentato: dalla perlustrazione capillare dei cunicoli della metropolitana all’appello di Francesco Totti, bandiera della Roma, di collaborare con le ricerche. Nella speranza di trovare qualche traccia utile sono stati controllati anche i campi Rom e i rifugi per i senzatetto. Il papà di Daniele, Francesco, si è rivolto pure al Papa. In un’accorata lettera gli ha chiesto di pregare per suo figlio e di concedergli la sua benedizione affinché possa tornare a casa sano e salvo. Ora Francesco Potenzoni ha chiesto aiuto al sindaco di Roma, Virginia Raggi, perché faccia continuare le ricerche. Molte le segnalazioni di avvistamenti, in gran parte nelle vie della Capitale ma anche in altre città come Milano. Alcune particolarmente attendibili che hanno fatto sperare in una possibile svolta.

Ma di Daniele, a oggi, non c’è alcuna traccia. Papà Francesco, comunque, non s’arrende. Nei giorni scorsi ha organizzato una fiaccolata per non abbassare l’attenzione sul caso: «Mi sento sollevato dalla decisione del Tribunale di andare al processo – le sue parole –. Finché avrò vita continuerò a lottare per ritrovare mio figlio ma, almeno, ora sarò in grado di sapere la verità e fare giustizia per Daniele. Fatti del genere non devono succedere mai più». Al processo si costituirà parte civile insieme all’associazione Penelope Italia (di cui fanno parte gli avvocati che lo stanno assistendo), da anni impegnata ad aiutare le famiglie delle persone scomparse. «Siamo soddisfatti per un esito che non era scontato – confida l’avvocato Gennaro Gadaleta –. Per la prima volta si è stabilito un principio importante: accertare le responsabilità penali in tutti i casi analoghi».