Monte Disgrazia, quella cima dal nome maledetto. A conquistarla furono gli inglesi

Confortola, guida alpina: «Questa non è una montagna per tutti. Spesso, bisogna avere la testa per rinunciare e tornare indietro». di Paolo Croce

I percorsi sul Monte Disgrazia. Il numero 4 è quello che avrebbero seguito le vittime (Ansa)

I percorsi sul Monte Disgrazia. Il numero 4 è quello che avrebbero seguito le vittime (Ansa)

Sondrio, 1 settembre 2014 - «Non sono montagne facili. Il Disgrazia? No, non è per tutti». Marco Confortola, guida alpina e alpinista, non si dà pace: «Ieri le condizioni climatiche in alta montagna non erano quelle ideali. A volte, anzi spesso, bisogna avere la testa per rinunciare e tornare indietro. Un amico, anche lui guida alpina, è salito sul Disgrazia proprio pochi giorni fa, e mi ha raccontato delle difficoltà che ha affrontato... No, non sono montagne alla portata di tutti, servirebbe più prudenza».  Gli anziani del posto te lo spiegano la prima volta che sali: «Il nome Disgrazia in realtà non è dovuto ai morti in montagna, che pur anche qui non sono mai mancati, quanto a una storpiatura del suo nome in dialetto ‘Disglascia’». Non per questo, come abbiamo visto, il Disgrazia è una montagna da sottovalutare, anzi, con i suoi 3678 metri, questa vetta, che divide la Valmalenco dalla Val Masino, in provincia di Sondrio, è banco di prova difficile anche per alpinisti esperti. Qui fece la storia nel 1862 una cordata inglese formata da Leslie Stephen, Kennedy, Anderegg e Cox (tre nobili e il loro cameriere) che per primi conquistano la vetta: erano altri tempi, quando l’alpinismo era cosa solo da ricchi.

Oggi questa ascesa non è però meno pericolosa, come testimonia il famoso alpinista Confortola: «Quando succedono queste tragedie in alta montagna forse sarebbe bene parlare il meno possibile, ogni parola infatti stride con il dolore che si prova per chi perde la vita nel tentativo di raggiungere una cima» spiega la guida alpina di Valfurva. Confortola non vorrebbe commentare ma aggiunge: «Sul caso specifico prima di parlare bisogna sapere con dovizia di particolari cosa è successo, che condizioni hanno trovato...». Quella che è stata la guida alpina più giovane in Europa non vuole dare etichette, a lui ancora bruciano certi giudizi tranchant che lo colpirono dopo la tragedia del 2008 sul K2, quando morirono 11 alpinisti. Il valtellinese salvò la vita, ma in seguito al congelamento subì l’amputazione delle dieci dita dei piedi e le polemiche sulla spedizione al suo ritorno in Italia non mancarono.  Confortola ieri era al rifugio Quinto Alpini dopo essere salito sul ghiacciaio dello Zebrù, in Alta Valtellina: «Parlo con prudenza e rispetto per i morti — spiega — ma quando ci sono queste tragedie smettetela di chiamare la montagna ‘assassina’. Non è la natura che uccide, ma siamo noi che la sfidiamo. Quando vado in montagna ho sempre timore e rispetto, quella paura sana che ti obbliga a essere prudente. Non si può salire certe vette senza l’aiuto di una vera guida alpina».