Cornaredo, libero dalla prigione in Mauritania: "Ora è la burocrazia che mi incatena"

A Cristian Provvisionato, dopo 21 mesi in cella da innocente, il Paese africano non ha restituito il passaporto: e ora lui non può più fare il suo lavoro. Sul caso kafkiano, anche un'interrogazione parlamentare

Cristian Provvisionato, prigioniero della burocrazia, nella sua casa di Cornaredo

Cristian Provvisionato, prigioniero della burocrazia, nella sua casa di Cornaredo

Cornaredo (Milano), 19 settembre 2017 - Ventuno mesi in ostaggio della Mauritania, senza alcuna colpa. E quattro mesi in ostaggio della burocrazia, dei silenzi e delle attese. Continua l’odissea di Cristian Provvisionato, 43 anni, l’ormai ex bodyguard di Cornaredo, incarcerato il 1 settembre 2015 a Nouakchott, capitale dello Stato africano, con la falsa accusa di spionaggio informatico, e liberato il 12 maggio, dopo una frenetica trattativa diplomatica con la Farnesina, i cui dettagli non sono mai venuti alla luce.

«Dopo la felicità iniziale - racconta Cristian dalla sua casa di Cornaredo - e il piacere di ritrovare la mia compagna Alessandra (Gullo: ndr.) e i miei familiari, giorno dopo giorno è subentrato lo sconforto. Anzitutto non mi è mai stato restituito il passaporto. E nemmeno il telefono e il computer. Con il risultato che il mio lavoro, che si svolgeva all’estero, lo potrei fare solo in area Schengen. Da mesi chiedo notizie senza avere risposte». Senza considerare che se la Mauritania spiccasse un mandato di arresto internazionale, Cristian rischierebbe addirittura di essere estradato e di tornare in una cella africana. Paradosso, ma neanche troppo.

«La Mauritania non solo non ha mai risposto alle nostre richieste per riavere il documento, ma nemmeno ha mai chiarito la mia posizione giuridica. La mia liberazione è stata fatta passare come un gesto di amicizia verso l’Italia. Ma quale grazia? La grazia si dà ai condannati. Io voglio essere prosciolto da ogni accusa, quel che è accaduto è noto a tutti e anche i nomi dei veri colpevoli sono scritti nero su bianco su atti ufficiali».

La vicenda vede coinvolte in almeno un paio di inchieste sia l’azienda milanese di investigazioni private che inviò Provvisionato in Africa, sia i suoi partner internazionali, un pool di società di hacking che avrebbe dovuto fornire alla repubblica islamica un pacchetto di tredici sistemi di spionaggio, per controllare a distanza smartphone e pc di potenziali terroristi o comunque soggetti di interesse per i servizi di intelligence.

Provvisionato fu tratto agli arresti quando la Mauritania, che aveva pagato un milione e mezzo di euro per la fornitura, si vide negare proprio il 13° item, quello che avrebbe fatto funzionare tutti gli altri. «Una truffa», disse il governo locale. Della quale però lui, guardia del corpo e non informatico, non sapeva nulla. La ditta milanese lo aveva infatti inviato in loco per sostituire un consulente, che doveva rientrare in Italia.

«Oggi la mia vita è segnata - dice - Nell’autunno 2015 avrei dovuto sposare Alessandra. Oggi sono senza stipendio da oltre due anni, disoccupato e la mia famiglia ha speso un sacco di soldi per i legali e per venirmi a trovare in Africa. Anche i miei legali hanno chiesto lumi alla Farnesina, ma dopo mesi siamo ancora in attesa di risposte. Mando curriculum, mi dò da fare. Ma chiedo giustizia. Da vittima di un equivoco giudiziario oggi mi ritrovo vittima dei silenzi».

Anche il Movimento Cinque Stelle ha presentato un’interrogazione alla Commissione affari esteri sul passaporto di Cristian, a prima firma Davide Tripiedi.