Il poker di Renzi

Nel poker l’espressione «all in» significa puntare tutte le fiches in una sola mano, rischiare tutti i soldi che si hanno in un’unica giocata. Lo si fa quando si è molto sicuri di sé (e delle proprie carte) di GIULIANO MOLOSSI

Milano, 29 maggio 2016 - Nel poker l’espressione «all in» significa puntare tutte le fiches in una sola mano, rischiare tutti i soldi che si hanno in un’unica giocata. Lo si fa quando si è molto sicuri di sé (e delle proprie carte). Il giocatore d’azzardo Matteo Renzi ha fatto «all in» quando ha detto che si dimetterebbe in caso di vittoria del «no» al referendum costituzionale di ottobre. È stata una mossa felice? Per ora a noi pare che l’unico risultato di questo annuncio sia stato quello di incoraggiare il più che variegato fronte avverso, che vede insieme, nella guerra a Renzi, nemici storici. Tutti insieme appassionatamente, neri e rossi, Berlusconi e Davigo, Brunetta e Grillo, Salvini e la Camusso. Tutti con lo stesso sogno di mandare a casa il premier, seppellendolo di «no». Per fare cosa non è chiaro forse neppure a loro. Ma poco importa. 

Quel che conta  è lo sfratto a Palazzo Chigi; al resto - sembrano dire gli avversari del premier - penseremo dopo. Dice che se perde se ne va? E allora approfittiamone. Renzi ha voluto politicizzare e personalizzare il voto di ottobre, trasformarlo in un referendum su di lui. Già oggi, a cinque mesi dal fatale appuntamento, appare chiaro che la gente andrà a votare pro o contro il governo e non pro o contro la riforma costituzionale. I due schieramenti smaniano di contarsi, convinti di avere i numeri dalla loro parte. Le elezioni di domenica prossima sono quasi considerate un semplice assaggio della battaglia finale. Berlusconi invita gli elettori a dare al governo un «avviso di sfratto» pur sapendo che anche una sconfitta del centrosinistra nelle grandi città non sarebbe garanzia di successo nella sfida d’autunno.

Da parte sua Renzi, negli ultimi appelli che farà nei prossimi giorni per sostenere Giachetti a Roma e Sala a Milano, insisterà sulla necessità delle riforme istituzionali, e parlerà più di referendum che di amministrative. In un clima infuocato sarà difficile che l’attenzione possa concentrarsi sui contenuti. Noi, ad esempio, troviamo molti buoni motivi per votare «sì» ma anche qualche valida ragione per dire di no. Avremo altre occasioni per tornare sul tema, ma fin d’ora a noi paiono buoni argomenti del «sì» la fine del bicameralismo paritario e di conseguenza la semplificazione del procedimento legislativo, il rafforzamento dell’esecutivo, la maggior stabilità dei governi, la diminuzione dei costi della politica con la riduzione dei senatori da 315 a 100 e senza indennità. Di contro, non ci piace affatto la soluzione pasticciata adottata per Palazzo Madama trasformato in una Camera delle Autonomie con quel mix di consiglieri regionali e sindaci che godranno dell’immunità parlamentare. Di fronte a una svolta così importante per il futuro del Paese gli elettori dovrebbero valutare con serenità pregi e difetti della riforma e giungere a una scelta consapevole. E invece ci aspettano mesi di polemiche feroci, di risse nei salotti televisivi, di guerra fra chi dipingerà il premier come un novello Mussolini e chi lo esalterà come un geniale innovatore. Una pessima prospettiva ma Renzi non ha fatto nulla per evitarla. Anzi. giuliano.molossi@ilgiorno.net