Ruby ter, l’asso Fadil in mano alla Procura: quelle misteriose offerte per tacere

"Mi minacciò, mi disse “io fossi in te non mi scontrerei con certe persone, stai zitta... se salta fuori questa cosa ci saranno conseguenze”" di Marinella Rossi

Imane Fadil

Imane Fadil

Milano, 3 marzo 2015 - Soldi, promesse, minacce. Il nodo del Ruby ter. E una testimone a fare da grimaldello alle nuove scoperte della Procura, fra intercettazioni e nuovo giro di regalie. Non se lo aspettava Imane Fadil di dover indossare abiti di primo piano proprio nel terzo troncone di indagine per corruzione giudiziaria e falsa testimonianza che la Procura è stata “invitata” ad aprire da due collegi di giudici: quelli del Ruby uno (a Silvio Berlusconi) e quelli del Ruby due (agli intermediari della prostituzione). Già chiamata dai pubblici ministeri, l’aggiunto Pietro Forno e i sostituti Tiziana Siciliano e Luca Gaglio, ieri la ragazza marocchina è tornata come testimone d’accusa, sentita (il suo legale Danila Di Domenico fuori della porta per assistenza morale) per oltre quattro ore. Unica vera “pentita” nel parterre delle serate calde di Villa San Martino (le altre due parti civili, Ambra Battilana e Chiara Danese, erano state cooptate per serate spot nella spasmodica ricerca di facce nuove da portare al Cav, ma erano del tutto estranee all’ambiente). Imane no. 

Modella, alla ricerca come altre di lavoro e presentazioni, accetta il gioco delle serate calde per un po’, e da quell’ambiente prende le distanze in una fase incerta, febbraio-marzo 2011, quando le olgettine, ragazze qualsiasi o escort, si ritrovarono sbalzate sulla ribalta mediatica. A lei i pm chiedono riscontri su nuove scoperte centrali nell’indagine che lavora sugli avvicinamenti e le trattative per sovvertire la scoperta del “sistema prostitutivo ad Arcore” con il ritornello delle “cene eleganti”. E di avvicinamenti Imane parla anche al dibattimento a carico di Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti. Cita un avvocato, Asa Peronace, cui lei si rivolge allora per chiedere «una consulenza sul fatto che figuravo tra le 33 ragazze di Arcore».  Il nome del legale gli arriva con un passa-parola, ma poi apprende che da lui bazzicano le gemelle Concetta e Imma De Vivo. È Peronace, racconta la ragazza, a farle «incontrare un siriano, che si presentò come Marco» (Saed Ghanaymi, classe 1959). Saed «diceva di essere amico di Berlusconi e diceva di andare a un incontro ad Arcore per avere del soldi». Imane racconta di appuntamenti “sotto copertura” a Linate in cui le viene dato «un telefono con scheda non intercettabile». Con questo viene contattata per «andare ad Arcore per avere dei soldi». «Soldi che erano anche per le dichiarazioni nel processo». Le incertezze della modella non la portano ad Arcore ma a saltare la barricata. Così il siriano «mi minacciò, mi disse “io fossi in te non mi scontrerei con certe persone, stai zitta... se salta fuori questa cosa ci saranno conseguenze”».

Se seguire dove sono finiti i soldi è la più collaudata tattica investigativa, i pm hanno optato per una rogatoria in Messico sulla traccia dei capitali che hanno consentito a Karima El Maghroug (Ruby si era appuntata in un foglietto: 4 milioni e mezzo da Berlusconi) e al suo ex Luca Risso di acquistare a Playa del Carmen il ristorante con pastificio “Casa Sofia” e due palazzine con appartamenti da affittare a turisti. Mentre ieri otto ragazze della pletora dei 22 perqusiti il 17 febbraio hanno presentato ricorso al Tribunale del Riesame contro i sequestri di soldi, telefoni e appunti.  

marinella.rossi@ilgiorno.net

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