Il marciapiede è il letto dei profughi, Porta Venezia diventa una polveriera

In centro i bivacchi dei disperati in fuga dalla dittatura. E monta la rabbia

PANNI STESI Nei giardini di Porta Venezia: ciclicamente la situazione si ripete

PANNI STESI Nei giardini di Porta Venezia: ciclicamente la situazione si ripete

Milano, 3 ottobre 2015 - Centoquindici passi separano via Tadino da via Lecco. Ogni giorno li percorrono su e giù senza sosta centinaia di giovani eritrei. Profughi del Corno d’Africa con la faccia da bambini. Migranti in attesa di un furgone che li porti Oltralpe. Tutti stipati in quei settanta metri scarsi che ormai somigliano a una polveriera pronta a esplodere. Settanta metri ad altissima densità di esercizi commerciali che a fatica si erano staccati di dosso l’etichetta di «casbah» ora affibbiata ad altre zone complicate della città. Fino a ieri. Siamo nella parte centrale di via Lazzaro Palazzi. Porta Venezia, Milano. Si contano in un amen tre bar, un paio di locali, due phone center, due money transfer, un ferramenta, una falegnameria, un centro estetico e un mini-market. Più o meno equamente distribuiti tra negozianti italiani e africani, con una leggera predominanza dei secondi a dir la verità.

Oggi qualcosa è cambiato da queste parti. E i residenti lo confermano, seppur a malincuore: "Qui non si vive più, siamo costretti a oltrepassare la gente che dorme sui marciapiedi per entrare in casa". I ristoratori non sono da meno: "Abbiamo registrato un calo nei fatturati anche del 70%: saranno contenti solo quando porteremo i libri in Tribunale...". Il bersaglio è facile da intuire: le istituzioni. Colpevoli, sostengono, di aver abbandonato il quartiere al degrado. Della movida selvaggia e degli spacciatori agli angoli delle strade si parla da anni. Ora, però, c’è un altro problema che rischia di incrinare quegli equilibri costruiti in quarant’anni trascorsi gomito a gomito. Basta fare un giro di mattina, tra le 10 e le 12, o di pomeriggio, tra le 15 e le 19, per capirne il motivo e comprendere l’esasperazione di chi vive da queste parti. Si incontrano decine di ragazzi, in maggioranza minori non accompagnati: in certi giorni di agosto, gli abitanti della strada ne hanno contati duecento. Vagano per ore in gruppi di tre-quattro con le loro buste di plastica stracolme di indumenti e gli zaini in spalla. Sono scappati dalla dittatura. Hanno affrontato un lunghissimo viaggio per arrivare. Hanno attraversato il deserto e poi si sono imbarcati su una delle scalcagnate carrette del mare che quotidianamente solcano il braccio di Mediterraneo che divide la Libia dalla Sicilia. Hanno una destinazione precisa in testa: "Più che Milano – informano i mediatori culturali che ci conversano in lingua tigrina – loro hanno un’altra meta: Porta Venezia". Qui sanno di poter trovare connazionali pronti a aiutarli. Qui aspettano che i parenti mandino i soldi necessari per proseguire la traversata dell’Europa. E qui si mettono nelle mani del trafficante di turno che, a carissimo prezzo, li caricherà su un’auto per superare la frontiera con destinazione Germania o Svezia. Possono passare giorni o settimane, a seconda delle disponibilità economiche di genitori e nonni rimasti in patria. E l’unica sala d’attesa si trova proprio in via Palazzi. Se ne stanno sempre lì. In piedi a fare su e giù o seduti davanti agli ingressi dei condomini signorili, sperando in una chiamata o meglio ancora in un bonifico dall’estero. Si vedono pure mamme con neonati che allattano per strada, raggomitolate nel budello strettissimo tra il marciapiedi e le reti del cantiere di largo Bellintani. Ogni tanto sconfinano in via Vittorio Veneto e persino nei giardini pubblici di via Palestro, anche se l’opera di moral suasion portata avanti in questi mesi dai volontari di Fondazione Arca e dai baschi blu dei City Angels è riuscita a limitare i bivacchi sulle aree verdi e a evitare che di notte si trasformassero in un vero e proprio dormitorio a cielo aperto, con tanto di panni stesi ad asciugare sui rami degli alberi o sulle staccionate che danno sul vialone che porta a piazza Repubblica. Il problema resta eccome. Non lo negano in Prefettura. E non lo negano neppure in Comune, che pur ha raddoppiato i turni della raccolta rifiuti e mandato qualche pattuglia della polizia locale. A oggi, tuttavia, una soluzione definitiva non è stata individuata, nonostante la questione sia stata più volte dibattuta al tavolo del Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza. Non si è trovato il modo di alleggerire la pressione su una micro-porzione di territorio a ridosso del centro (due minuti di strada e si entra nella Cerchia dei Bastioni) che si sente sotto assedio almeno dall’estate del 2014 e che chiede aiuto. La tregua è durata pochi mesi, da novembre a marzo. Poi i flussi sono ricominciati con maggior frequenza. E pare non vogliano finire mai.

nicola.palma@ilgiorno.net

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