"Il verdetto su Brescia è storico, ora si riapra il caso piazza Fontana"

I familiari: ci sono nuove piste. La Procura: leggeremo le motivazioni

La strage di piazza Loggia a Brescia (Ansa)

La strage di piazza Loggia a Brescia (Ansa)

Milano, 24 luglio 2015 - Un filo nero le ha sempre legate indissolubilmente. Col fortissimo sospetto (mai diventato certezza in un’aula di tribunale) che gli esecutori delle due stragi, a distanza di 5 anni l’una dall’altra, fossero gli stessi o comunque che avessero alimentato i loro intenti omicidi nello stesso brodo di coltura dell’ordinovismo veneto. E ora che la controversa parabola giudiziaria dell’eccidio di Piazza della Loggia a Brescia ha trovato un epilogo seppur non definitivo – con la condanna all’ergastolo in Corte d’appello dell’ex leader neonazista Carlo Maria Maggi e dell’ex militante nonché «Fonte Tritone» dei servizi segreti Maurizio Tramonte – anche chi ha sempre cercato la verità sulla bomba che il 12 dicembre 1969 ammazzò 17 persone all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura pare intravedere l’ennesimo spiraglio in un tunnel finora senza uscita.

Provare a infilarcisi dentro vuol dire aprire un nuovo fascicolo a Milano per seguire altre piste e individuare presunti colpevoli mai finiti alla sbarra. Non, per intenderci, lo stesso Maggi o i vari Franco Freda, Giovanni Ventura (morto a Buenos Aires il 2 agosto 2010) e Delfo Zorzi, tutti finiti assolti nei mille procedimenti sull’attentato che segnò ufficialmente l’inizio di quel periodo passato alla storia (tragica) d’Italia come «strategia della tensione». Altri nomi. Nomi inediti. Mai iscritti nel registro degli indagati, nonostante a loro abbiano fatto cenno pezzi grossi come il generale Gianadelio Maletti, capo del controspionaggio del Sid negli anni Settanta.

Il gip Guido Salvini

«Una volta lette le motivazioni, chiederò di riaprire il caso», fa sapere l’avvocato Federico Sinicato, lo storico e battagliero legale dei familiari delle vittime. Del resto, molto è cambiato negli ultimi mesi. Prima con la sentenza della Cassazione che nel 2014 ha annullato le assoluzioni di Maggi e Tramonte, con tanto di bocciatura del metodo basato sulla «valutazione parcellizzata e atomistica degli indizi». Poi con la decisione dell’altra sera, che ha chiuso il cerchio dopo 41 anni. Entrambi i verdetti hanno sancito una volta per tutte l’attendibilità del teste-chiave Carlo Digilio, armiere ed esperto di esplosivi del gruppo, e a cascata la veridicità delle sue affermazioni sul casolare-arsenale di Paese, rinvenuto a inizio 2012. Per non parlare dei rapporti strettissimi tra il gruppo di Freda e Ventura e quello di Maggi.

Insomma, ce n’è da approfondire. A volerlo davvero fare: «Se la Procura di Milano – incalza il giudice Guido Salvini, autore delle inchieste sulle trame nere – avesse fatto come Brescia, credo che sarebbe stato possibile andare anche per piazza Fontana al di là di quella responsabilità storica che comunque le sentenze hanno accertato in modo indiscutibile nei confronti delle stesse cellule di Ordine Nuovo al centro del processo per Piazza della Loggia». A Milano, al momento, un’inchiesta non c’è: l’ultima è stata archiviata nel 2013 dal gip su richiesta della Procura. Quella stessa Procura che adesso, per bocca dell’aggiunto Maurizio Romanelli, a capo del dipartimento che si occupa di terrorismo e attività eversive, assicura «massima apertura: leggerò con molta attenzione le motivazioni della sentenza e poi vedremo».

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro