Coppia dell'acido, viaggio nel centro di don Mazzi: "Anche Martina merita una chance"

«Tutti meritano una seconda possibilità». È la filosofia che riempie le giornate dei ragazzi ospitati nell’associazione Exodus di don Antonio Mazzi, nel cuore del Parco Lambro. Il minimo comun denominatore: la voglia di cambiare vita di Marianna Vazzana L'ESCLUSIVA - I colleghi del padre di Martina: "Non separate madre e figlio" - la lettera

Martina Levato

Martina Levato

Milano, 22 agosto 2015 - «Tutti meritano una seconda possibilità». È la filosofia che riempie le giornate dei ragazzi ospitati nell’associazione Exodus di don Antonio Mazzi, nel cuore del Parco Lambro. Venti giovani tra i 18 e i 32 anni. C’è chi arriva dal carcere, molti vogliono lasciarsi alle spalle un passato di solitudine avvelenato dalla tossicodipendenza. Il minimo comun denominatore: la voglia di cambiare vita. Sveglia alle 6.30 del mattino, mezz’ora di sport, colazione e attività lavorative e artistiche distribuite nel corso della giornata. I ragazzi si occupano della manutenzione della struttura, della cura del verde, dell’orto e della serra. E in questi giorni, Exodus è sotto i riflettori per via della proposta avanzata dagli avvocati di Martina Levato: accogliere la ragazza e il suo bambino in una delle 40 sedi della onlus sparse per l’Italia. Don Mazzi ha già dato la sua disponibilità. In ogni caso, Martina non starebbe a Milano «ma in un centro che ospiti mamme e bambini. Sarebbe la soluzione ideale. Conosco i genitori da tempo: la ragazza è cambiata completamente da quando ha conosciuto Boettcher. In questa storia ci sono quattro vittime: Pietro Barbini, Stefano Savi, Martina e il suo bambino». Il problema più grosso da risolvere? «Martina è ancora infatuata. È la cosa che mi preoccupa di più». E Boettcher? «Per lui ci vorrebbe un lungo lavoro. Si sente “un profeta”, prima di tutto bisognerebbe dividerli». 

Intanto, nella sede del Parco Lambro, le giornate scivolano tranquille. I quattro punti cardine sono «la scoperta dell’acqua calda», direbbe don Mazzi: lavoro, attività sportiva, laboratori artistici (teatro, musica e arte-terapia) e volontariato. Ogni ragazzo, inoltre, è invitato a scrivere un diario e la sua biografia. Gli educatori sono 7, con una coordinatrice. «Arrivo dal carcere - racconta Giuseppe, 23 anni -, ho iniziato a drogarmi a 15 anni e sono andato via di casa. Poi ho iniziato a rubare per procurarmi lo stupefacente, a 18 anni sono finito in carcere. Qui la mia vita è cambiata: Exodus mi ha dato la possibilità di conoscermi. A settembre incomincerò a studiare per diventare operatore socio-sanitario, in più vorrei scrivere un libro di racconti». Mattia, di due anni più giovane, ha chiesto a don Mazzi di accoglierlo «quando ho visto che la mia vita stava prendendo una brutta piega a causa della tossicodipendenza. A scuola sono stato bocciato tre volte, non riesco a stare troppo tempo seduto: preferisco il movimento, a gennaio ho fatto uno stage in un’enoteca e mi son trovato benissimo. M’impegnerò per trovare un lavoro nel campo della ristorazione».

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