Latte da distruggere, allevatori lo vendono per solidarietà: dobbiamo salvare 15mila posti

Il latte eccedente fino a venerdì sarà in vendita in piazza Duca d’Aosta, poi in quattro catene di supermercati. L’assessore Fava: "Ora una soluzione strutturale o a ottobre siamo da capo"

Latte

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 Milano, 19 aprile 2016 - Solo in Lombardia lo scorso 31 marzo tremila quintali di latte rischiavano di finire nei tombini. Buttati via, perché fuori dalle quote di acquisto delle imprese lattiero-casearie. Tuttavia, in extremis è arrivato un cavaliere bianco: il Consorzio Virgilio, che d’intesa con Coldiretti e Regione Lombardia, ha dato una seconda vita al latte «di troppo». Novantamila quintali di latte che nei prossimi tre mesi saranno trasformati in Uht da destinare a sua volta agli scaffali dei supermercati. Ma, prima di arrivare nelle corsie di Carrefour, Esselunga, Bennet e Ca’ d’oro (le prime quattro catene che hanno aderito all’iniziativa), il latte «solidale» sarà venduto fino a venerdì in piazza Duca d’Aosta a Milano, all’ombra del Pirellone.»Il latte della solidarietà – spiegano da Coldiretti Lombardia – arriva dagli allevamenti di tutta la regione che non sono più coperti da contratti per il ritiro del latte dopo il forfait delle industrie». «Si tratta di latte buono – incalza il presidente del sindacato di Milano, Lodi e Monza, Alessandro Rota – ma che gli allevatori sarebbero stati costretti a buttare a causa della disdetta dei contratti per il ritiro».

Facendo così tremare un comparto, quello lattiero, che nelle stalle lombarde impiega almeno 15mila persone e contribuisce al 40% della produzione nazionale.«Il compito di una cooperativa non è solo economico, ma anche etico – commenta il presidente del consorzio Virgilio, Paolo Carra -. Noi riceviamo circa mille quintali al giorno, destinati per la maggior parte alla produzione di latte Uht da destinare alla grande distribuzione». Proprio il gruppo mantovano, di recente uscito da una ristrutturazione che ha tagliato il segmento macellazione, ha imposto una decisa virata verso la produzione casearia, senza escludere la lavorazione del latte. Le stalle lombarde, tuttavia, non sono ancora fuori pericolo. Il patto infatti dura per tre mesi e, vaticina l’assessore regionale all’Agricoltura, Gianni Fava, «è una soluzione tampone ma il problema non è risolto».

L’avvicinarsi dell’estate, con il conseguente calo fisiologico della produzione, potrebbe dare fiato per progettare un piano a lungo termine. «Nei prossimi mesi si va verso un calo fisiologico, si rientra nel novero della produzione assorbibile – commenta Fava -. Ma se non cambia la situazione,a ottobre siamo da capo». Il consiglio regionale lombardo si sta preparando a discutere alcuni piani di riorganizzazione del settore. Per Fava, in alcune zone, come il triangolo tra Crema, Lodi e la Bassa Bergamasca, «dove non avviene direttamente la trasformazione, gli allevatori dovrebbero strutturarsi per avere un impianto di trasformazione cooperativo. I fondi del Piano di sviluppo rurale ci sono, c’è la nostra disponibilità». Come era stato tre anni fa per un polverizzatore cooperativo in Lombardia, il cui progetto, tuttavia, è naufragato.

di LUCA ZORLONI  

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