Milano, la ragazza uccisa alla Cattolica: un giallo che resiste da 45 anni

Milano 1971, il giovane Raspelli e l’omicidio di Simonetta Ferrero

Gli investigatori in Cattolica

Gli investigatori in Cattolica

Milano, 24 luglio 2016 - Faceva un grande caldo quel 26 luglio 1971, esattamente 45 anni fa. Giacca e cravatta regolamentari, viso obbligatoriamente e perfettamente rasato, a 22 anni appena compiuti, con in tasca la lettera di assunzione firmata dal direttore del Corriere, Giovanni Spadolini, salivo al secondo piano, alla cronaca dell’edizione del pomeriggio, il «Corriere d’Informazione». Il giornalismo di allora, la Milano degli Anni Settanta che raccontavano giovani esordienti ed anziani navigati, sembravano tratti dal film «Quinto Potere»: i cronisti (soprattutto quelli che si occupavano di nera, che dovevano fare il giro tra sala stampa della Questura in via Fatebenefratelli, quella dei carabinieri in via Moscova e l’obitorio in piazzale Gorini) dovevano essere «scapoli, orfani, figli di p...». Qual era il suggerimento, l’ordine, che il capo cronista dava al sottoscritto, che lasciava il secondo anno di università per raccontare rapine, stupri, delitti, bombe, stragi? «Raspelli, ricordati, se stai andando sul luogo di un fatto e lungo il percorso vedi a terra il cadavere di tuo padre - mi disse una volta un collega più anziano - vai sul posto, lavori, racconti tutto e poi torni dal cadavere di tuo padre». Nelle pause tra un’edizione e l’altra ci si distendeva, con i piedi (e le scarpe) sulla scrivania; si metteva in un angolo la Lettera 32, si tirava fuori dalla cassettiera metallica la scatola delle carte da poker e la bottiglietta di whisky.

Il «Giorno», con i servizi sulla spesa in prima pagina e con i racconti gastronomici di Gino Veronelli, tallonava nelle copie il Corriere della Sera; «La Notte» diretta da Nino Nutrizio ed il «Corriere d’Informazione» curato da Gino Fantin si spartivano il pomeriggio. C’era il colera in Spagna quel 26 luglio 1971 ed il mio primo servizio, alle 7 in punto del mattino (nemmeno il tempo di sedermi alla scrivania) fu di salire sull’autoradio del giornale ed accompagnare il fotografo Peppino Colombo a documentare le code all’ufficio d’igiene, nella vicina via Statuto. Alle 7.30, una telefonata dura come una frustata: «Raspelli, molla tutto. Vai di corsa all’Università Cattolica, in largo Gemelli». Facoltà di Scienze Politiche, preside Gianfranco Miglio (che sarebbe diventato l’ideologo della Lega Lombarda): in un gabinetto, un seminarista aveva trovato il cadavere di una ragazza neolaureata, Simonetta Ferrero, massacrata a coltellate. Peppino Colombo scavalcò un cancello alto tre metri per fotografare la terribile pozza di sangue; io, che non sapevo la differenza tra un ufficiale dei carabinieri ed un magistrato, cercai di raccogliere notizie. Qualche giorno dopo, nella grande chiesa accanto a via Osoppo, a un passo dalla casa della ragazza, si tennero i funerali. Un silenzio irreale scandito solo dalle parole del sacerdote e suggellato da un altissimo, disperato, tragico urlo di una compagna di scuola di Simonetta.

Milano si svegliava con una tragedia: il 17 maggio del 1972 fui il primo ad arrivare in via Cherubini davanti alla pozza di sangue accanto all’umile Fiat 500 del commissario Luigi Calabresi. Poi, il 17 marzo del 1975, un’altra ragazza, una modella, Valentina Masneri, venne trovata dal marito, Gianpiero Tribolati, uccisa a coltellate nella loro casa di via Settala 57. Poi la morte degli agenti Antonio Annarumma e Antonio Marino, del brigadiere Sergio Bazzega e del collega Vittorio Padovani, del mio compagno di scuola al liceo Parini Walter Tobagi, degli studenti Giannino Zibecchi, Claudio Varalli, Sergio Ramelli. Una tragica ininterrotta teoria per tutti gli Anni Settanta: diventavo testimone annichilito dei terribili Anni di Piombo di Milano e dell’Italia intera.

raspelli@tin.it

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