Furto al Castello, il giallo s’infittisce. Spunta l’ipotesi dipendente infedele

Milano: l’allarme solo 24 ore dopo. Aperta un’indagine interna. Potrebbe essere una persona con motivi d'astio che conosceva bene i sistemi di controllo di Agnese Pini

Uno dei tre quadri rubati al Castello Sforzesco

Uno dei tre quadri rubati al Castello Sforzesco

Milano, 26 agosto 2014 - Un mistero che si infittisce, il sospetto di una mano interna, di un dipendente infedele improvvisatosi ladro. E un’indagine tutta da rifare, fin dalle sue fondamenta. Perché c’è un nuovo colpo di scena a confondere le acque del furto al Castello Sforzesco, a partire dal giorno della razzia. Non sabato, «tra le 9 e le 15» come si pensava, ma almeno 24 ore prima. Venerdì 22 agosto. Il colpo di scena arriva nella serata di ieri, quando gli investigatori parlano con il custode della Pinacoteca in servizio proprio venerdì: già quel pomeriggio si accorge che qualcosa nella Sala 17, al primo piano, non è più al suo posto.

All’appello mancano gli ormai noti tre dipinti su legno realizzati nel XV secolo da un anonimo cremonese. Resta una parete vuota: solo i tre chiodi e i rispettivi fili metallici tagliati. L’uomo, però, se ne dà poca pena. Spiega: «Credevo fossero stati spostati in un’altra ala. Per questo non ho avvertito nessuno». Così, la caccia ai responsabili accumula un ritardo di un giorno e mezzo dopo che già sabato i responsabili del museo, avvisati della sparizione delle opere da un altro custode, avevano aspettato cinque ore prima di chiamare la polizia. Intanto, il Comune ha aperto un’indagine fra i dipendenti del Castello. Fra mancanze, leggerezze, e controlli a vuoto — i poliziotti avevano già setacciato tutte le immagini delle telecamere interne di sabato, a questo punto inutilmente — cresce anche il mistero sulla mano che sta dietro al furto. C’è una domanda-chiave a cui gli investigatori non sanno ancora rispondere: chi può avere interesse a rubare tre dipinti che, sul mercato, valgono meno di cinquemila euro?

Spiccioli, al confronto del rischio di mettere a segno un furto in un luogo-simbolo come la dimora degli Sforza. Così perde corpo la pista del colpo su commissione da parte di professionisti. Che difficilmente si scomodano per oggetti di così poco valore. Più fondata sembra invece l’ipotesi di una mano interna. Un dipendente «infedele», con qualche motivo di astio o di rivendicazione. Che ha sfruttato la conoscenza dei sistemi di sicurezza— i quadri non sono protetti da sensori e la parete da cui sono stati presi non era controllata dalle telecamere — per mettere a segno il colpo. Muovendosi sicuro e agendo praticamente indisturbato: proprio accanto alla parete c’è un ascensore non destinato al pubblico, anch’esso privo di telecamere. Da lì si scende dalla Sala 17 direttamente al piano terreno, sfuggendo a ogni occhio elettronico sensibile. Difficile pensare che un turista di passaggio potesse conoscere tanto bene la piantina del Castello e i suoi punti deboli. Gli inquirenti si sono fatti consegnare la lista di tutti e 20 gli impiegati della cooperativa esterna che, nel mese di agosto, garantisce il servizio di custodia all’interno del Castello. E l’indagine riparte da qui, ora sotto la guida dei carabinieri del Nucleo tutela del Patrimonio, i monuments men. Che da oggi prenderanno il timone dell’inchiesta. Ricominciando da capo.

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